Baby gang, oltre la superficie. Il nuovo report del Servizio analisi della Polizia criminale

L’analisi Un nuovo report del Servizio analisi della Polizia criminale rivela l’aumento delle vessazioni tra coetanei e la diffusione di bande giovanili. Da Padova a Venezia Atti di bullismo, rivendicazione, fino al recente sequestro di armi al trapper padovano Baby Touché. Andrea Ostellari: «L’educazione come unico, vero strumento di disarmo nei confronti delle devianze»

Baby gang, oltre la superficie. Il nuovo report del Servizio analisi della Polizia criminale

Ne fanno parte mediamente meno di dieci ragazzi, soprattutto maschi tra i 15 e i 24 anni. Nella maggioranza dei casi hanno compiuto atti di bullismo, risse, percosse e lesioni, atti vandalici e disturbo della quiete pubblica. Ma l’attività di gran lunga predominante sono le vessazioni nei confronti di coetanei. Questa la fotografia che emerge dal nuovo report su Criminalità minorile e gang giovanili del Servizio analisi criminale della Direzione centrale della Polizia criminale. Le gang, evidenzia lo studio che ha elaborato i dati a tutto il 2023, sono presenti nella maggior parte delle regioni italiane, con una leggera prevalenza nel Centro-Nord rispetto al Sud e per lo più nelle grandi aree urbane. In Veneto il focus è sulla città metropolitana di Venezia. Casi di delinquenza e disagio giovanile toccano anche Padova, al centro di ripetuti episodi alla ribalta delle cronache nazionali: le baby gang e i trapper fino al sequestro di armi al noto Baby Touché. Su un fenomeno in continua crescita interviene il sottosegretario alla Giustizia con delega alla Giustizia minorile e di Comunità, il padovano Andrea Ostellari, uno degli artefici del decreto Caivano, convertito in legge il 13 novembre scorso: «Partiamo dai dati: nel 2018 sono stati compiuti da minori 2.348 reati, nel 2023 sono pochi di meno, 2.302. Le statistiche registrano, però, un aumento dei crimini contro la persona e del livello di aggressività. Le ragioni sono molteplici, si va dall’emulazione alle fragilità legate alla dipendenza da sostanze stupefacenti fino al venir meno di alcune strutture sociali. Tutte cause che impongono una riflessione e un’azione più ampie ed incisive. I reati vanno puniti, l’applicazione delle leggi non può fare sconti, ma il contesto in cui il fenomeno si sviluppa esige che l’osservanza delle norme proceda di pari passo con la necessità di tracciare e percorrere, dopo il carcere o contestualmente a esso, altre strade. La fermezza deve accompagnarsi sempre all’umanità. Ricordiamo che la Giustizia interviene quando il danno è compiuto, tornare indietro non si può, guardare avanti per costruire alternative è d’obbligo».

«L’educazione dei giovani, la loro crescita – prosegue – dipendono da altre agenzie: la famiglia, la scuola, le realtà sportive e culturali. Quando si parla di misure efficaci di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile bisogna puntare sulla prevenzione prima che sulla repressione, sull’educazione come unico, vero strumento di disarmo nei confronti delle devianze. L’educazione per far capire come le regole, e il loro rispetto, non sono mai una limitazione della libertà, ma un’opportunità per tutti. Sono fermamente convinto che all’isolamento e alla solitudine dei giovani si debba rispondere con più comunità e maggiore partecipazione attiva. Il ddl Caivano va proprio in questo senso: non soltanto misure repressive bensì nuovi strumenti, come per esempio l’ammonimento, che permettano di intervenire già in età non punibile e prima che la carriera delinquenziale di un minore si consolidi». Il contrasto al fenomeno delle baby gang, i conseguenti provvedimenti giudiziari e l’aumento delle segnalazioni di minori, denunciati e arrestati evidenziati nel report, pongono l’accento sullo stato di salute delle nostre carceri minorili, primo teatro di risse, raid, evasioni e abusi. Una situazione che, per alcune problematiche come quelle del sovraffollamento, ricalca anche se in scala inferiore, quella del circuito penitenziario degli adulti. «Ho assunto la delega alla Giustizia minorile a novembre 2022, allora i giovani detenuti negli Istituti penitenziari minorili erano circa 320, appena un anno dopo sono saliti a 420; attualmente (la statistica è della scorsa settimana) sono 552, 527 maschi e 25 femmine. Alla luce di questi numeri è evidente che non basta il ministero della Giustizia e che bisogna intervenire con un’azione congiunta che possa coinvolgere scuola, istituzioni locali, sanità. Nel frattempo abbiamo iniziato a individuare alcune strutture dove aprire delle comunità per minori gestite direttamente dallo Stato». Sul tappeto anche un altro fenomeno altrettanto preoccupante e in costante crescita, quello dell’abbandono scolastico: «Con il ddl Caivano abbiamo previsto pene severe per i genitori inadempienti, prima si limitavano a una sanzione di 30 euro per fare un esempio – conclude Andrea Ostellari – I ragazzi che delinquono spesso si trovano a vivere in contesti, anche familiari, segnati da abbandono o da grave disagio. Si dovrà, allora, verificare prima di tutto che i ragazzi, a scuola, ci vadano. Interventi e azioni che spettano ad altre istituzioni, come quelle che per prime operano sul territorio. Come dice sempre don Claudio Burgio, cappellano dell’istituto minorile Beccaria di Milano “ai ragazzi dobbiamo spiegare che la giustizia non è una clava che pesa sulla loro testa, ma una possibilità per ritrovare la pienezza della libertà”».

«I ragazzi di oggi non sono cattivi, ma captivi»

«Il nostro tempo è segnato da un disagio molto profondo. I ragazzi di oggi non sono cattivi, ma captivi: sono prigionieri, ostaggi e sono molto immaturi. La comunità cerca di aiutarli a rielaborare quanto accaduto. Perché il vero cambiamento esige la pienezza del ricordo». Sono le parole di don Claudio Burgio, cappellano dell’istituto penale per minorenni Beccaria di Milano nell’incontro di qualche settimana fa dal titolo “Esistono ragazzi cattivi?” all’istituto dei Rogazionisti a Padova. Sul tema, a inizio anno, si è espresso anche il questore di Padova Marco Odorisio, che per primo in città ha applicato il decreto Caivano: «Ci sono fatti, come quello di gennaio di piazza De Gasperi, dove due gruppi di ragazzi si sono contesi il campo da basket, che sono chiaramente riconducibili al disagio e alla devianza giovanile. Non c’è una dinamica di tipo associativo».

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