Assicurare l’agricoltura. Sempre più tartassato dalle intemperie l’agroalimentare più buono del mondo
Stando all’Ismea, nel 2021 le polizze assicurative hanno “coperto” solo il 20% della produzione agricola.
Milioni di danni in poche ore. E’ questo il “bilancio in negativo” che le grandinate primaverili ed estive infliggono periodicamente all’agricoltura. Eventi ordinari (anche se spesso vengono fatti passare come eccezionali), che dicono tutto sui rischi che ancora oggi corrono le produzioni alimentari. Eventi che, tra l’altro, in questi ultimi tempi sono aumentati intensità e frequenza e che fanno capire bene l’aleatorietà alla quale il buon agroalimentare nostrano deve comunque sottostare. Una condizione di fragilità, contro la quale, al di là di alcuni accorgimenti tecnici non sempre efficaci, rimane solo quella che gli agricoltori chiamano “difesa passiva” e cioè il ricorso alle polizze assicurative. E’ un mondo, quello delle polizze agricole, che pochi conoscono e che, invece, può far comprendere bene le dimensioni economiche dell’agricoltura moderna.
Danni milionari, dunque. Che diventano miliardari se, oltre alla grandine, si mette tutto quello che ai campi può accadere. Per capire meglio, basta sapere che, stando ai coltivatori diretti, solo negli ultimi giorni sono state tartassate alcune delle migliori aree agricole del nord Italia: dal Piemonte alla Lombardia fino al Veneto, la grandine ha distrutto interi campi coltivati, dal mais all’orzo, dal grano agli ortaggi, dalle ciliegie ai mirtilli fino ai vigneti.
“Siamo di fronte in Italia – viene detto dai coltivatori – alle conseguenze dei cambiamenti climatici con il moltiplicarsi di eventi estremi e una tendenza alla tropicalizzazione e il moltiplicarsi di eventi estremi con una più elevata frequenza di manifestazioni violente, sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi e intense ed il rapido passaggio dal sole al maltempo”. Una vera scure che può abbattersi all’improvviso sulle coltivazioni, ma soprattutto sui bilanci delle aziende. E contro la quale lo strumento più efficace, come si è detto, rimane a tutt’oggi solo quello della polizza assicurativa. Che ancora oggi, tuttavia, non riesce a coprire la gran parte delle produzioni. Anche se molto si sta facendo.
Stando all’Ismea (l’istituto che ha tra i compiti quello di monitorare anche gli aspetti economici della produzione agricola), nel 2021 le polizze assicurative hanno “coperto” solo il 20% della produzione agricola. Un dato comunque in crescita rispetto al passato. Tanto che proprio Ismea in una nota ha parlato di un “nuovo massimo” delle polizze agricole che ne loro insieme (colture vegetali, le strutture aziendali e le produzioni zootecniche) in termini di valori assicurati sono arrivate a 8,9 miliardi di euro (di cui 6,5 per i vegetali).
Ma si può fare di più. E occorre fare di più, visto il valore della produzione agroalimentare, stando agli ultimi dati ufficiali e consolidati, arriva ad oltre 522 miliardi di euro considerando tutte le sue componenti (agricoltura, agroindustria, servizi legati al cibo), pari a oltre il 15% del Pil italiano, come media degli ultimi anni. D’altra parte, la ricetta che indica cosa si potrebbe fare c’è già e contiene due ingredienti: la sburocratizzazione delle procedure e la loro maggiore flessibilità. Ma non solo. Il governo, infatti, ha già messo in campo – nel Piano strategico pluriennale 2023-2027 – la creazione (primo caso in Europa) di un Fondo di mutualizzazione nazionale catastrofale contro le perdite da gelo e brina, siccità e alluvione, destinato all’intera platea delle aziende agricole italiane. In dotazione sono previsti, dal 1° gennaio 2023, stanziamenti per oltre 650 milioni di euro fino al 2027.
Basterà tutto questo? Secondo l’associazione nazionale delle imprese di assicurazione (Ania) occorre comunque “un’offerta meno vincolata e più libera” per “modulare le coperture in base alle effettive necessità degli agricoltori”. Anche da questa strada passano la difesa e la crescita dell’agroalimentare più buono del mondo.