Arriva il Def, le scelte con un occhio alle Europee
In questo momento elettorale, le voci di uscita hanno il sopravvento mentre le entrate sono sempre ferme all'auspicio. Nel 2019 - ad esempio - dovrebbero entrare 18-19 miliardi di dismissioni di immobili e beni a controllo pubblico. Non sarebbe facile con un'economia fiorente figuriamoci ora. E il Governo ne sta prendendo atto. Come trovare i soldi allora che servono? Non con una manovra correttiva - assicura - non con una tassa sui patrimoni e tanto meno con prelievi sui conti correnti. Dopo le elezioni si vedrà
Anche la flat tax ha trovato il suo posticino nel dibattito sul nuovo Def (Documento di economia e finanza). I ministri, soprattutto di area Lega, potranno assicurare che si sta riducendo l’onere fiscale e ci si indirizza verso la tassa piatta. Di quanto, quanto costerà , più per le famiglie o le imprese? Al momento non è precisato. Nella gran confusione delle ultime ore almeno un chiarimento c’è stato: il 2019 non sarà “un anno bellissimo per l’economia” e se la crescita ci sarà raggiungerà uno striminzito +0,2% di progresso del Pil (Prodotto interno lordo, la ricchezza che si produce collettivamente). Ben lontano dall’1% stimato dall’Esecutivo nonostante lo scetticismo dei principali centri studi internazionali.
Prendere atto di uno scenario debole non è indolore perché intorno a quella crescita auspicata erano stati costruiti presupposti per interventi economici costosi e ravvicinati. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, ha ammesso che le precedenti stime non erano sostenibili. “Aggiorneremo il quadro dei numeri – aveva detto in fase di preparazione del Def che fissa alcuni obiettivi per il 2019 e oltre – allineandoci alle previsioni internazionali sui tendenziali di crescita dell’economia, inferiori a quelli che si ipotizzavano pochi mesi fa. E stabiliremo un obiettivo programmatico realistico, considerando l’impatto positivo dei provvedimenti presi. Per inciso ricordo che la crescita media in Italia dal 2000 in qua è stata dello 0,2%. Non ci vuole molto a fare meglio”.
Il Governo ricorda che tutti, compresa la solida Germania, stanno rivedendo le previsioni economiche; che senza Brexit e lo scontro Usa-Cina sui dazi, l’Italia viaggerebbe con almeno uno 0,5% in più. Sempre poco rispetto ai partner europei che vivono l’Italia come una zavorra per la crescita continentale.
Non lo nasconde il presidente della Bce, Mario Draghi: “L’Italia è sicuramente tra i fattori che pesano sul rallentamento dell’economia dell’Eurozona”.
C’è una particolarità negativa per l’Italia posta sotto osservazione per il deficit, per il debito, per gli impegni di spesa programmati nella speranza che gli interventi – riavvio dei cantieri, reddito di cittadinanza, incentivi di settore – possano rimettere in moto almeno la domanda interna e favoriscano l’aumento degli occupati a tempo indeterminato. I tempi, anche nello scenario virtuoso, non saranno brevi.
Il Governo gialloverde sta prendendo atto che far girare l’economia è molto più difficile del previsto e che le promesse elettorali sarebbero state meglio gestibili in una congiuntura robusta.
La crescita per ora non si vede. Gli imprenditori mostrano segnali di insofferenza per i continui rinvii che non incoraggiano gli investimenti privati. Pochi giorni fa i partecipanti a un convegno a Cernobbio, in una rilevazione con voto segreto, hanno bocciato le scelte del Governo.
C’è invece fretta politica nel portare a casa prima delle elezioni europee del 26 maggio alcuni risultati identitari, cioè di conferma degli impegni presi con l’elettorato: dal superamento della riforma Fornero al pagamento del primo reddito di cittadinanza, fino alla corresponsione ai risparmiatori, senza troppe verifiche, del denaro perso nelle crisi bancarie. Nel primo caso sono coinvolti finora meno di 35 mila lavoratori che hanno attivato le procedure di uscita dall’Inps. Per il reddito di cittadinanza i numeri sono ben più consistenti e a fine marzo le richieste erano circa 853mila. Nelle crisi bancarie i potenziali rimborsati sono circa 300mila.
I due partiti di maggioranza, con una vera o apparente conflittualità interna, sembrano preoccupati del consenso da stabilizzare o aumentare, meno (o comunque non subito) della rotta dei conti.
La compatibilità di uscite di denaro così rilevanti e ravvicinate per i conti pubblici è messa in dubbio all’interno del Governo dal ministro dell’Economia, Giovanni Tria, non a caso finito sotto pressione dalle due forze di politiche al comando. Mantengono i loro dubbi gli altri ospiti del condominio europeo.
Negli accordi con la Ue è previsto che l’Italia possa attivare suoi suoi conti pubblici un blocco di circa 2 miliardi di spesa per non sforare il rapporto fra deficit annuale e Pil (che da 2,04 punta al 2,4%) , così da non far lievitare ulteriormente quel rapporto totale fra debito accumulato e lo stesso Prodotto interno che punta ad andare oltre il 132 percento.
In questo momento elettorale, le voci di uscita hanno il sopravvento mentre le entrate sono sempre ferme all’auspicio. Nel 2019 – ad esempio – dovrebbero entrare 18-19 miliardi di dismissioni di immobili e beni a controllo pubblico. Non sarebbe facile con un’economia fiorente figuriamoci ora. E il Governo ne sta prendendo atto. Come trovare i soldi allora che servono? Non con una manovra correttiva – assicura – non con una tassa sui patrimoni e tanto meno con prelievi sui conti correnti. Dopo le elezioni si vedrà.
Paolo Zucca