Adolescenti - Finite le scuole è tempo di bilanci educativi
Quando la scuola è costretta a investire maggiormente sull’aspetto educativo (e quindi pedagogico) che sul versante dell’istruzione è naturale un calo nella preparazione degli studenti.
E anche quest’anno il garrulo suono dell’ultima campanella ha sollevato il barbarico “yawp” dell’orda degli studenti, che si è riversata per le strade dei diversi quartieri in preda a quella incontenibile “frenesia da ultimo giorno di scuola”.
Il tempo compreso fra il suono dell’ultima campanella e l’uscita dei quadri con gli esiti di fine quadrimestre è un tempo di tregua. Niente compiti, niente interrogazioni, niente “sbatti” per arrivare a scuola in orario. Time out.
Finalmente si dorme, si va a letto tardi e si dispone liberamente (o quasi) del proprio tempo in attesa della sentenza post-scrutinio; per alcuni scontato e di grande soddisfazione, per altri appeso all’incerto filo della speranza.
E mentre i portoni delle scuole si serrano e fuori si scatenano liturgie e riti di fine anno, tra gavettoni, lanci di uova , scongiuri e anatemi. Il pallido emaciato docente raduna libri e registri e si ritira un po’ avvilito in camera caritatis, chiamato al momento più critico della sua professione: la valutazione.
Diventa sempre più complicato valutare in uno scenario così complesso come quello odierno. Lo psicanalista Massimo Recalcati e il filosofo Umberto Galimberti hanno dedicato recentemente delle analisi molto acute al sistema scuola e in esse il docente appare come il sacerdote-custode di una istituzione che va scolorando. Sagoma fluttuante in una immagine in bianco e nero, senza funzioni touch o multiscreen, grigia icona bidimensionale dispersa in un mare di app fin troppo accattivanti.
Ciò che gli si chiede è di farsi portatore di quella scintilla magica che è un mix tra desiderio, amore, curiosità e passione. Fuoco sacro del sapere, lo chiamano. Ma nello stesso tempo il prof si trova in balìa dell’enorme cambiamento che sta investendo la nostra epoca. Lui e i suoi studenti, naturalmente, che egli è chiamato a valutare, ma ancora prima a formare.
Nei consigli di classe spesso ci si spacca sulla linea di demarcazione tra pedagogia e competenza. I dati parlano chiaro: c’è un allarmante calo di livello nella preparazione delle nuove generazioni. I contenuti sono diventati più grossolani e meno approfonditi. I giovani non conoscono in maniera adeguata la lingua italiana, non sanno parlare e soprattutto non sanno scrivere correttamente. La competenza nell’area logico-matematica non sta al passo con gli altri Paesi d’Europa.
D’altronde l’emergenza educativa, l’estrema diffusione del disagio psicologico e ambientale e la latitanza (o l’inefficacia) delle politiche sociali e scolastiche tengono in ostaggio il progresso culturale di questo Paese, in primo luogo fra i banchi di scuola.
Quando la scuola è costretta a investire maggiormente sull’aspetto educativo (e quindi pedagogico) che sul versante dell’istruzione è conseguentemente naturale un calo nel livello della preparazione dei suoi studenti.
In più sono forti le ingerenze nel sistema scolastico, da parte delle famiglie in uno stato confusionale dal punto di vista educativo e da parte di politica e mezzi di stampa che volentieri cavalcano il senso di frustrazione generale.
Buona scuola sì, buona scuola no. Cellulare sì, cellulare no.
Le riflessioni si riducono a dispute e non c’è l’ombra di alcun progetto. Ci si barcamena e si rappezza un sistema che andrebbe ripensato da cima a fondo e confortato da una impianto pedagogico e formativo serio, al passo con il cambiamento epocale che viviamo.
Così, mentre si scrivono numeri sul registro elettronico, si continua a sperare che dopo il tempo estivo (o magari durante) qualcuno tornerà a prendersi cura della scuola e del futuro dei nostri giovani.
Silvia Rossetti