A tu per tu con gli angeli. Notre Dame è quasi pronta a riaprire le sue porte ai fedeli di tutto il mondo
La ricostruzione dei quattro cherubini che adornano l’oculo del transetto è durata un anno
Tutti col naso all’insù, stupiti e coi cellulari in mano, venerdì scorso a Parigi, per immortalare un canto che non si udiva da cinque anni. Ad un mese esatto dalla riapertura di Notre-Dame, prevista per domenica 8 dicembre, Gabriel (4162 kg), Anne-Geneviève (3477 kg), Denis (2502 kg), Marcel (1925 kg), Etienne (1494 kg), Benoit-Joseph (1309 kg), Maurice (1101 kg) e la piccola – si fa per dire – Jean-Marie (782 kg) sono tornate a suonare nel campanile nord della cattedrale. Il test di venerdì mattina, che corona il lungo lavoro che ha visto in prima linea centinaia di persone, è stato puntualmente documentato sulla pagina Ig @rebatirnotredamedeparis , dove il video ha raccolto in poche ore più di 25mila like.
Notre Dame è quasi pronta a riaprire le sue porte ai fedeli di tutto il mondo. E in quest’ultimo mese, fervono i preparativi per una festa che il mondo attende da cinque anni. Da quella sera del 15 aprile 2019 quando, verso le 19, un violento incendio divorò il tetto in quercia e fece collassare – in diretta social e tv – la flèche, la guglia, sulla navata centrale. Quella sera le fiamme avvolsero anche il campanile nord, ma i vigili del fuoco riuscirono a fermarle in tempo. I danni, come nel resto dell’edificio, erano ingenti.
“I carpentieri – si legge su Ig – hanno restaurato la cella campanaria, la struttura in legno che sostiene le campane e le cui parti sono state danneggiate dall’incendio. La rimozione delle campane, avvenuta lo scorso luglio, ha permesso di alleggerire la struttura. Di conseguenza i carpentieri hanno potuto rimuovere le parti indebolite delle travi e sostituirle con innesti, utilizzando complessi assemblaggi”. Tra questi ce n’è uno dal nome singolare, “Jupiter”. “Il nome è dato dalla sua forma simile a un fulmine”.
Ma questa non è che una delle particolarità di questo delicato lavoro. Per consentire a falegnami e carpentieri di rinsaldare e rinforzare la cella campanaria è stata, infatti, realizzata un’operazione davvero fuori dal comune. “Con l’ausilio di martinetti – si legge sul post di Ig che accompagna le foto che documentano l’intervento – e di una struttura metallica di consolidamento, l’immensa struttura lignea, che pesa 190 tonnellate ed è alta 25 metri, è stata sollevata di 30 centimetri! Una volta restaurato il campanile e ricollocato sulla pietra, le campane sono state riportate nella loro posizione originale”. E venerdì scorso sono tornate a suonare, per la prima volta dopo cinque anni.
Cinque anni di lavori che il mondo ha potuto seguire attraverso la cronaca puntale fatta su Ig dai responsabili del progetto. Immagini e video uniche nel loro genere, che ci hanno mostrato le profonde ferite inferte dalle fiamme alla cattedrale di Notre-Dame, ci hanno raccontato la laboriosa attività delle centinaia di persone che si sono alternate nel cantiere e ci hanno svelato e fatto apprezzare particolari della cattedrale che, visti da terra, passano inosservati. La ricostruzione non è stata raccontata, però, solo “in forma digitale”. C’è stato anche il racconto “analogico” di Axelle Ponsonnet, una architetto impegnata nel cantiere, che durante le sue visite ha immortalato con i suoi disegni – rilanciati poi su Ig – il restauro della cattedrale attraverso prospettive e panorami unici.
Nella prima delle sue tavole, pubblicata il 30 marzo su Ig, si scorge il cantiere visto dalla torre nord, “mostrando – come scrive la stessa Ponsonnet su Ig – in un colpo d’occhio la ricostruzione delle parti superiori della cattedrale: guglia, ossatura, timpani e, in primo piano, la chimera del Pellicano, che veglia sul cantiere, custode del suo sapere ancestrale”.
Ma a vegliare sul cantiere e sul lavoro dei tanti professionisti che si sono alternati in questi mesi, arrampicandosi lassù, a decine di metri d’altezza, ci sono stati anche molti angeli e angioletti. A tu per tu con loro, in queste ultime settimane c’è stato Stéphane Roussel, orafo e doratore di Roanne. Dopo aver ricoperto d’oro il galletto di Notre-Dame, che è tornato a svettare in cima alla guglia a 96 metri d’altezza, Roussel è stato chiamato a restituire l’originario splendore ai quattro angeli monumentali (completamente ricostruiti secondo il modello originale) che con le loro ali abbracciano l’oculo del transetto – collassato e distrutto nell’incendio – che ospiterà presto al centro la tela dipinta raffigurante la Vergine con il Bambino.
Il lavoro di Roussel, che per la sua maestria è conosciuto e apprezzato in tutto il mondo, è stato documentato in un video pubblicato su Ig e YouTube. Arrampicato in cima alle impalcature, caschetto bianco in testa, con la volta della cattedrale lì, letteralmente a portata di mano, Stéphan si è ritrovato per diversi giorni a tu per tu con gli angeli. Occhi negli occhi, a studiarsi, ascoltarsi e parlarsi. “Faccio questo mestiere da 47 anni – racconta – quello di Notre Dame è un progetto straordinario e la gente viene da ogni parte del mondo per vedere questa rinascita”. Prima di applicare la foglia d’oro, i doratori applicano alla pietra un impasto, una vernice grassa che permette alla foglia di aderire. È affascinante vedere come Stéphan “colora” d’oro i cherubini che spalancano le ali di fronte a lui. La sua tavolozza è un cuscinetto particolare, su cui è sistemata la foglia d’oro. Lui osserva con attenzione la parte su cui sta per lavorare, calcolando mentalmente le misure. Poi, con un gesto sicuro, taglia col coltello la lastra d’oro che è più sottile di una velina, leggera e impalpabile, pronta a volare via al primo soffio. Con un pennello simile ad un pettine a denti molto stretti, raccoglie la foglia d’oro, che come attratta dalla mano del doratore si lascia trasportare leggera fino ad appoggiarsi sulla pietra. Un paio di carezze, delicate e sapienti, fatte con lo stesso pennello, permettono alla foglia d’oro di “fondersi” con la pietra, assecondandone le pieghe e le insenature. Gesti rapidi, quelli di Stéphan, come battiti d’ali, che donano luce, calore ed espressione alla pietra. Gesti che ha appreso negli anni, osservando come si muovevano le mani dei doratori più anziani, suoi maestri. “Guardare, guardare e poi memorizzare i gesti degli anziani – racconta – Devi osservare, sentire ogni minimo gesto. Per essere doratori bisogna essere reattivi, curiosi e anche in buona salute, perché non è tutto riposo e relax. Bisogna dedicare tutta la propria vita a questa professione”.
La ricostruzione dei quattro cherubini che adornano l’oculo del transetto è durata un anno. L’oro ha restituito loro le loro fattezze delicate ed ora, che le impalcature sono state smontate, li si possono ammirare lassù a 30 metri d’altezza.
Roussel nella sua carriera ha portato a termine incarichi importanti, come quelli a Versailles o, in Vietnam, all’Hanoi Opera House, che è una replica di Palais Garnier, il più vecchio dei teatri lirici di Parigi. “Ma il cantiere di Notre-Dame ha un significato particolare – sottolinea – perché arriva alla fine della mia carriera. Certo l’incendio è stata una grande catastrofe, ma mi ha donato l’occasione di lavorare qui. Questo è una specie di compimento. È il vertice di tutto”.