25 Aprile. Libertà fa rima con comunità: solo così diventa liberazione
Per il virus siamo ormai abituati alla metafora bellica: e il 25 aprile è la festa della libertà riconquistata alla fine della guerra nazista e poi fascista, cominciata peraltro con la spartizione della Polonia tra Hitler e Stalin. E poi difesa da tutte le insidie e prevaricazioni.
Per il virus siamo ormai abituati alla metafora bellica: e il 25 aprile è la festa della libertà riconquistata alla fine della guerra nazista e poi fascista, cominciata peraltro con la spartizione della Polonia tra Hitler e Stalin. E poi difesa da tutte le insidie e prevaricazioni.
Di questa prova della pandemia cominciamo ad intravvedere un approdo provvisoriamente positivo, ma
ancora una volta festeggiamo la Liberazione più o meno confinati:
più stanchi e provati rispetto allo scorso anno, ma anche più consapevoli.
Dei costi, ma anche degli insegnamenti del morbo e della propulsione al nuovo impegno che ne deriva, necessariamente.
Papa Francesco lo ripete ormai da tempo: non se ne esce uguali, o migliori o peggiori. Se uscirne peggiori è facile, basta assecondare la china, uscirne migliori presuppone invece una volontà. Personale e collettiva.
Proprio per corroborare questa volontà, darle propellente, è bello festeggiare la Liberazione, o, più al fondo, la libertà.
Prima di tutto dalle ideologie. Oggi non siamo nella situazione del 1945. Le ideologie sono molto più subdole, insinuanti, ma non meno prepotenti. Di “forme di totalitarismo aperto oppure subdolo” parlava già Giovanni Paolo II e papa Francesco ribadisce con chiarezza: chiama le cose con il loro nome e ci impone comportamenti coerenti. Falsifichiamole, demitizziamole, queste ideologie, riappropriamoci della prima libertà, che è quella di pensiero e di critica.
Se si era diffusa e certificata l’idea della “fine delle ideologie”, in realtà ci si riferiva a quelle otto-novecentesche. Queste si sono ridefinite e altre restano vive ed operanti: si pensi solo al tracciato del neo-liberismo, o a quello del cosiddetto politicamente corretto, per non parlare dei regimi plebiscitari o integralisti, che, anche quando usano le elezioni, si connotano in senso autoritario
mettendo in discussione, non a caso, prima di tutto, proprio la libertà religiosa, che è la prima e fondamentale libertà.
Ideologie vecchie e nuove che nascondono, sono funzionali a grumi di potere, interessi, che, come possiamo oggi constatare con evidenza sempre più grande, diventano generatori di diseguaglianze sempre più evidenti, anche quando ne predicano la scomparsa. A livello globale, ma anche all’interno delle nostre società, e proprio qui in Italia, nelle diverse Italie a colori diversi (e non solo per il virus) che abbiamo imparato a catalogare in questi mesi.
Libertà dunque, ma anche liberazione. Intesa necessariamente come processo concreto di affermazione della libertà, che non può restare un’idea.
Processo che richiede impegno, lotta, nel senso democratico e liberale del termine. Liberazione implica un sano agonismo.
E qui probabilmente c’è il vero nodo: tutto questo non si può fare da soli.
Libertà fa rima con comunità, solo così diventa liberazione.
Non è un caso che il tema della comunità sia al centro degli interventi di questi anni del presidente Mattarella.
Festeggiare la Liberazione per la 76° volta significa in fondo rispondere alla domanda sullo stato di salute della nostra comunità e su come migliorarlo. Senza retoriche, senza remore e senza sconti per nessuno.