Venezia, allarme Unesco. Colovini: “Non è solo pietre e palazzi. Serve un modello integrato di sviluppo sostenibile”
L'Unesco chiede di inserire Venezia nella danger list, ossia nella lista dei Patrimoni dell'umanità a rischio, ma per Lorenzo Colovini “il concetto di salvaguardia non può che essere declinato olisticamente, tutelando anche le opportunità di sviluppo delle attività economiche antagoniste al turismo, e quindi le prospettive di vita e di attrattività del luogo”
L’Unesco chiede di inserire Venezia nella danger list, ossia nella lista dei Patrimoni dell’umanità a rischio. Secondo il World Heritage Centre dell’organismo Onu, “il continuo sviluppo urbanistico, gli impatti dei cambiamenti climatici e del turismo di massa rischiano di provocare cambiamenti irreversibili all’eccezionale valore universale” della città lagunare, mentre le misure assunte finora per lottare contro il deterioramento della situazione sono “insufficienti”. Ma “non si può ragionare solo in termini di protezione e conservazione”, spiega al Sir Lorenzo Colovini, ingegnere e redattore della testata online Luminosi Giorni, che da anni si occupa dei problemi della città. Venezia “non è solo pietre e palazzi; è una città viva e pulsante per la quale occorre creare un modello integrato di sviluppo sostenibile”.
Emergenza climatico/ambientale, eccessivo attivismo urbanistico e overtourism le criticità rilevate dall’Unesco. E’ d’accordo?
Sul primo aspetto l’Unesco riconosce i benefici del Mose, delle opere di protezione di piazza San Marco, dello stop del passaggio delle grandi navi, ma non li ritiene interventi sufficienti e chiede dettagli e approfondimenti tecnici – ha senso che l’Unesco entri in questi tecnicismi? – sulla Piazza, sul traffico sul Canale dei petroli, sull’inquinamento di Porto Marghera. Ma questo organismo sa che è stato appena approvato (dopo lunghissima gestazione) il Protocollo fanghi che consente di reimpiegare la maggior parte dei fanghi prodotti da scavo per la ricostruzione di velme e barene (le prime sono parti di fondale lagunare che emergono in condizioni di bassa marea, le seconde sono invece aree di terra emersa che viene sommersa in condizioni di alta marea, ndr)? L’Unesco probabilmente non sa neppure che è stato redatto il Piano morfologico della laguna (sciaguratamente non ancora approvato), che consentirà di intervenire sul Canale dei petroli confinandolo ed evitando di perdere ogni anno 600mila metri cubi di preziosi sedimenti in mare, né che è stata lanciata la gara per il concorso di idee della stazione marittima off-shore. In sostanza, ho l’impressione che l’Unesco non sia informata sugli sforzi in atto per avere
una laguna protetta e al tempo stesso capace di convivere con un’attività portuale che è parte integrante della storia della città, oltre ad essere “una ricetta pro-biotica” contro la monocultura turistica.
Sembra piuttosto appiattita sulla narrazione ideologico/ambientalista radicale per la quale qualsiasi misura messa in atto non sarebbe comunque sufficiente.
Ritiene corretto, invece, il rilievo sul presunto “eccessivo attivismo urbanistico”?
Anche qui, a mio avviso, entra in gioco lo stesso pregiudizio ideologico fondato su un presupposto di pura conservazione dell’esistente, grottescamente estesa alla Terraferma che si vorrebbe “congelare” in nome di un “perimetro di protezione più esteso”. Sarebbe da capire, ad esempio, come possa impattare sul Patrimonio dell’umanità la bretella ferroviaria dell’aeroporto.
Dunque un atteggiamento “immobilista”, controproducente per Venezia.
I due punti di cui abbiamo parlato sono condizionati dal fatto che la mission guida dell’Unesco è encourage the identification, protection and preservation of cultural and natural heritage around the world. Ovvero in primis protezione e preservazione. E’ allora quasi inevitabile che prevalga l’impostazione della conservazione che tuttavia confligge con altri vincoli, anzitutto il calo dei residenti che giustamente la stessa Unesco rileva (fermo restando che non pare avere alcuna ricetta per mettervi mano). Perché il concetto di salvaguardia non può che essere declinato olisticamente, tutelando anche le opportunità di sviluppo delle attività economiche antagoniste al turismo e quindi le prospettive di vita e di attrattività del luogo. Al contrario, approcciare Venezia con le stesse modalità di un sito archeologico conduce inevitabilmente alla desertificazione e alla perdita precisamente del cultural heritage perché
Venezia non è solo pietre e palazzi, ma è anche i suoi abitanti e la sua anima di città viva e completa.
A preoccupare l’Unesco è anche l’overtourism…
Allarme, questo, a differenza degli altri, perfettamente fondato. A Venezia si è discusso molto sulla sua regolamentazione ma senza esito. Dobbiamo essere consapevoli che si tratta di un problema epocale, serissimo, che riguarda tutto il mondo. L’assedio dell’overtourism degrada ormai la stessa esperienza di visita del turista stesso, non solo a Venezia. Su queste basi, l’Unesco dovrebbe inserire nella danger list moltissimi siti. Venezia non è né migliore né peggiore di Ortigia, Macchu Picchu, Bruges, o del Taj Mahal. E l’aspetto amaramente ironico è che città e borghi fanno a gara per essere inseriti nel prestigioso elenco dei siti Patrimonio dell’umanità proprio per ricavarne un impulso turistico.
Quale potrebbe essere l’antidoto a questo aspetto?
Ne cito due, a titolo personale. Il primo è la limitazione dei posti letto (oggi nella città storica i posti letto, tra alberghi e locazioni private, sono pari al numero dei residenti: una follia). E va agito sulla leva delle limitazioni alle locazioni turistiche che oltretutto deprivano la città di appartamenti per residenti (quindi la loro diminuzione avrebbe un doppio vantaggio). In tal senso, il Ddl Santanché, che asseritamente si propone proprio di tutelare la residenza nei centri storici, è assolutamente inadeguato allo scopo (anzi, sembra dettato proprio dalla lobby dei locatori). La seconda leva è inserire elementi “pro-biotici” che contrastino la monocultura turistica. Tra questi il progetto di raddoppiare la popolazione universitaria e creare alloggi dedicati ristrutturando strutture dismesse (ma siamo sicuri che l’Unesco non lo considererebbe eccessivo attivismo urbanistico?..). Interessante è anche VenyWhere, un’altra iniziativa lanciata dalle università. Occorre insomma
attirare cervelli e futuri lavoratori offrendo loro trasporti funzionali e servizi degni di una città attrattiva e moderna.
L’eventuale ingresso di Venezia nella danger list – se mai ci sarà – costituirà un motivo di imbarazzo per lo Stato italiano che ha la responsabilità di Venezia nei confronti del mondo. Per noi cittadini cambierà ben poco: