Un pezzo di pane e un calice di vino. Tutto il valore degli oggetti
Il Quadrante del destino, “protagonista” dell’ultimo Indiana Jones, è solo un esempio tra mille. Curioso che per i cristiani più che di “cose” si tratti di cibi
I nizio dell’anno 1900, un gruppo di pescatori di spugne si imbatte in una tempesta e perde la rotta trovando riparo sull’isoletta di Antikythera, incantevole e disabitato appiglio roccioso nell’Egeo, a metà strada tra Creta e il Peloponneso. È così che, placata la tempesta, i pescatori si accorgono di un grande relitto al largo dell’isola, a circa 43 metri di profondità: una nave mercantile romana del primo secolo a.C. che contiene un inestimabile tesoro formato da oggetti in vetro, anfore e statue in bronzo e in marmo. Insieme a tutto questo trovano un oggetto molto particolare, costruito in rame, un blocco poi frammentato in varie parti, che si scoprirà essere un meccanismo complesso con ruote dentate di precisione e diverse iscrizioni. Delle dimensioni di un grosso libro, è un congegno meccanico datato tra l’inizio del terzo e il primo sec. a.C., il più antico calcolatore meccanico conosciuto. È un sofisticato planetario che serviva per calcolare il sorgere del sole, le fasi lunari, i movimenti dei cinque pianeti allora conosciuti, gli equinozi, i mesi, i giorni della settimana e le date dei giochi olimpici. Un vero e proprio pezzo unico la cui paternità sarebbe ricondotta, secondo alcuni, ad Archimede di Siracusa, straordinario scienziato, matematico, fisico, inventore vissuto nel terzo sec. a.C., lo stesso Archimede di cui studiamo ancora oggi il principio del galleggiamento dei corpi. La Macchina di Antikythera è divenuta ancora più famosa negli ultimi mesi con il nome di Quadrante del destino nell’ultimo film di Indiana Jones, il famoso archeologo-avventuriero che ha accompagnato l’infanzia di molti di noi. Dopo l’Arca dell’Alleanza, le pietre Shivalinga, il Sacro Graal e il Teschio di cristallo, la Macchina di Antikythera si aggiunge alla lista di oggetti e manufatti ai quali nei film viene attribuito un potere straordinario, o perché perduti e caricati di significato, o perché esistenti e testimoni di particolare ingegno e capacità tecnica. Non accade solo nei film, ma anche nella realtà: basta fare un giro in rete per trovare pagine e pagine dedicate a oggetti misteriosi, inspiegabili perché non se ne conosce il senso e il funzionamento, ritenuti “magici” perché utilizzati nei riti di antiche civiltà, considerati amuleti perché di particolare bellezza, oppure portatori di qualche misteriosa connessione con altri mondi e dimensioni, perché troppo complessi o anacronistici per essere frutto dell’intelligenza umana.
La Macchina di Antikythera interroga proprio su quest’ultimo aspetto: essa è testimone di un periodo storico, quello ellenistico, che ha visto fiorire la cosiddetta scienza “alessandrina”, con centro ad Alessandria d’Egitto. Euclide, Ctesibio (fondatore della pneumatica), Erofilo di Calcedonia (che iniziò l’anatomia e la fisiologia) lavoravano e insegnavano in questa città. Ma non sono da dimenticare Aristarco di Samo, che ideò la teoria eliocentrica secoli prima di Copernico; Eratostene, che per primo misurò le dimensioni della Terra, considerata rotonda, con una precisione straordinaria, e appunto Archimede di Siracusa. La lista sarebbe molto più lunga, ma basta a farsi un’idea di quanto sapere siamo riusciti a dimenticare per riconquistarlo poi, con fatica, nei due millenni successivi. La Macchina di Antikythera rimane comunque unica nel suo genere, motivo per cui ancora oggi è studiata con attenzione. Nulla di “misterioso”, nessun potere eccezionale, nessuna superstizione, se non la meraviglia e lo stupore per l’ingegno umano e la sua capacità tecnica. Ci sono diversi manufatti che hanno un valore inestimabile per gli stessi motivi, ma non solo: possono acquistare il loro valore perché legati a personaggi storici importanti, o perché una tradizione religiosa li collega direttamente a una divinità. È interessante notare che per i cristiani ciò che ha più importanza ed è caricato di questa valenza simbolica, fino a diventare presenza viva della divinità, non è un oggetto, ma un cibo. Un pezzo di pane e un calice di vino, non destinati a rimanere nei secoli ma il tempo di un banchetto. Non oggetti altri da noi, ma sostanza che diventa parte di noi. Non qualcosa da vedere in un museo o dentro una teca, ma da prendere con mano e portare alla bocca. Non un cibo a cui siamo stati noi a dare significato, ma che il Figlio di Dio ha scelto e risignificato per noi. Cibo che sono comunque le nostre mani a impastare e a spremere, cibo che mettiamo nelle Sue mani, perché solo in questo modo può tornare a noi e donarci la vera Vita.