Un mercato anomalo. Il prezzo del grano scende, quello della pasta sale. Perché?
Agroalimentare sempre più complesso e difficile.
Il prezzo del grano scende e quello della pasta sale. Paradossi del mercato che dicono molto sulla situazione complessa che il sistema agroalimentare sta vivendo. E che devono essere ben compresi per non cedere alle facili generalizzazioni.
I coltivatori diretti spiegano: “Il grano duro per la pasta viene pagato in Italia circa 36 centesimi al chilo ad un valore che non copre i costi di produzione ed è inferiore di oltre il 30% rispetto allo stesso periodo scorso anno mentre il prezzo della pasta è aumentato il doppio dell’inflazione”. Per questo Coldiretti plaude a quanto deciso dal governo: incaricare il Garante per la sorveglianza dei prezzi di convocare la Commissione di allerta rapida per analizzare quanto sta accadendo. Ancora i coltivatori sottolineano la variabilità geografica del prezzo finale della pasta. Stando all’Osservatorio del Ministero del Made in Italy, dicono, i prezzi della pasta passano da 2,3 euro al chilo di Milano ai 2,2 euro al chilo di Roma, dai 1,85 di Napoli ai 1,49 euro al chilo di Palermo mentre le quotazioni del grano sono pressoché uniformi lungo tutta la Penisola a 38 centesimi di euro al chilo.
Mercato anomalo, a quanto pare. Una fotografia di fronte alla quale gli industriali pongono un ragionamento differente. Italmopa (l’associazione degli industriali mugnai italiani), in un’altra nota spiega: “La contrazione delle quotazioni del frumento duro registrata nelle ultime settimane, dopo che esse avevano raggiunto, nel 2022, picchi senza precedenti, deve essere analizzata nel contesto di un attuale andamento internazionale ribassista dei prezzi delle materie prime agricole”. E poi aggiunge come la filiera del frumento duro operi “in un mercato libero e internazionale dal quale non si può in alcun modo prescindere”. Stando ai trasformatori i problemi sono due: da una parte la necessità di importare circa il 40% del fabbisogno di grano; dall’altra la constatazione che circa il 60% della pasta prodotta finisce in tutto il mondo in mercato in cui la concorrenza si basa su presupposti diversi da quelli italiani.
Su tutto, poi, un’altra prospettiva, ricordata ancora dai coltivatori diretti: le superfici agricole coltivate a frumento duro sarebbero quest’anno in flessione per un investimento di 1,22 milioni ettari con una riduzione di circa il 2% rispetto all’anno precedente.
E senza dimenticare i fenomeni generali del mercato agroalimentare. Ancora Coldiretti ha evidenziato come l’aumento dei prezzi abbia già tagliato del 4,7% le quantità di prodotti alimentari acquistate dagli italiani nel 2023 che, dice l’organizzazione agricola, “sono però costretti a spendere comunque il 7,7% in più a causa dei rincari determinati dalla crisi energetica”. Gli italiani, in altri termini, stringono la cinghia. “La situazione di difficoltà è resa evidente dal fatto che – sottolinea la Coldiretti – volano gli acquisti di cibo low cost con i discount alimentari che fanno segnare un balzo del +9,1% nel trimestre nelle vendite in valore, il più elevato tra gli scaffali del dettaglio”. Una rilevazione che indicano un fenomeno preciso: “La difficoltà in cui si trovano le famiglie italiane che, spinte dai rincari, orientano le proprie spese su canali a basso prezzo rinunciando anche alla qualità”.
Su tutto si delinea una constatazione: ragionare di alimentazione e di filiera agroalimentare significa affrontare un tema complesso e variegato, in continuo mutamento e condizionato anche da elementi che con l’agricoltura hanno anche poco a che fare.