Strage via D’Amelio: mons. Pennisi, “Paolo Borsellino si può considerare un martire per la giustizia”
“Il grande insegnamento che Paolo Borsellino ci ha lasciato è quello di aver coniugato una professione di magistrato che cercava una giustizia vera a una fede profonda, anche se non ostentata”. Lo dice mons. Michele Pennisi, arcivescovo emerito di Monreale e membro del gruppo di lavoro vaticano sulla “scomunica alle mafie”, nel 31° anniversario della strage di via D’Amelio, in cui perse la vita, ricordando “la sua frequentazione della parrocchia, la celebrazione eucaristica domenica, la confessione il giorno prima dell’assassinio”.
“Era una fede non ostentata – dice al Sir -. Una cosa che l’avvicina a Livatino era il rispetto per le persone, per gli imputati. La testimonianza di Diego Cavaliero suo giovane sostituto dimostra come la fede rafforzava la sua professionalità. Era un uomo di misericordia, rigoroso quando esercitava la giustizia. Voleva verificare davvero la colpevolezza degli imputati”.
L’arcivescovo ricorda un episodio: “Giovanni Paolo II ad Agrigento parlò anche di martiri per la giustizia. Quest’espressione fu dettata dal fatto che avesse incontrato prima i genitori di Livatino. Ma bisogna mettere in conto che la moglie di Borsellino nel maggio ’93 scrisse una lettera all’Osservatore Romano in cui espresse la convinzione che ‘il sangue del suo Paolo era seme di liberazione’. Quando il Papa parla di martiri per la giustizia questo vale anche per Borsellino”. “Il suo sangue come quello di Falcone, come quello di don Puglisi, come quello di Livatino ha generato un rifiuto della mafia e della mentalità mafiosa. Certamente il loro sacrificio è stato uno delle pagine più nere della storia della Sicilia ma ha prodotto una mentalità di riscatto dei giovani dalla mafia. I giovani erano tra gli interlocutori privilegiati di Borsellino, incontrandoli nelle scuole. Questo a tanti anni di distanza produce i suoi frutti”.