Società debole, economia fragile
Il 52° Rapporto del Censis, recentemente pubblicato, evidenzia il passaggio da un’economia di sistemi a un ecosistema di attori individuali.
Quando cede il tessuto sociale, l’economia fatica. La sofferenza del mondo del lavoro e di conseguenza la fase di stagnazione, che sta attraversando il nostro Paese, non è dovuta solamente all’indebolimento del ceto medio che ha ridotto fortemente gli acquisti e ha modificato il suo stile di vita. A questo, infatti, si aggiunge la mancanza di una strategia di sistema capace di sostenere le azioni dei singoli soggetti: imprenditori, liberi professionisti, artigiani, cooperative e così via.
Il 52° Rapporto del Censis, recentemente pubblicato, evidenzia il passaggio da un’economia di sistemi a un ecosistema di attori individuali. Per un periodo ampio di tempo l’Italia ha lanciato la sua economia attraverso le reti comunitarie. Le varie realtà che abitavano lo stesso territorio si muovevano e costruivano le loro strategie economiche un po’ per contagio, in un certo senso imitando il vicino e imparando da lui. Così, in fondo, nascevano i distretti industriali. Oggi questo non accade. C’è una competizione che isola e, in tempi di scarsi finanziamenti, le strategie hanno bisogno di maggiori sostegni. Così mentre alcuni comparti funzionano (come quelli che investono in economia circolare oppure in settori di innovazione per la tecnologia industriale), tanti altri sono lasciati a se stessi.
La denuncia del Censis colpisce i ritardi di sviluppo del contesto che avrebbe invece dovuto incentivare i tanti soggetti che hanno resistito alla crisi e sono riusciti ad adattarsi in un nuovo contesto. Invece è venuta a mancare una politica di sistema in grado di investire in infrastrutture e di conservare quelle esistenti, di migliorare l’azione amministrativa, di promuovere una cultura di “sistema”.
I vari attori, allora, agiscono ognuno per proprio conto, isolati, senza fiducia verso gli altri e verso la comunità. Però da soli non si uscirà dalla crisi. Questo concetto lo aveva già espresso con chiarezza Benedetto XVI nella Caritas in Veritate. Nell’Enciclica, infatti, si legge che «Il mercato, se c’è fiducia reciproca e generalizzata, è l’istituzione economica che permette l’incontro tra le persone, in quanto operatori economici che utilizzano il contratto come regola dei loro rapporti e che scambiano beni e servizi tra loro fungibili, per soddisfare i loro bisogni e desideri. Il mercato è soggetto ai principi della cosiddetta giustizia commutativa, che regola appunto i rapporti del dare e del ricevere tra soggetti paritetici… Senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica. Ed oggi è questa fiducia che è venuta a mancare, e la perdita della fiducia è una perdita grave» (CiV 35).