Sanità. Ricciardi (Univ. Cattolica): “Una battaglia da vincere con l’impegno di tutti”
In Italia mancano medici e infermieri. Nei giorni scorsi la notizia di una bimba che a Verona lotta in terapia intensiva contro il tetano. Due emergenze di un panorama sanitario nazionale con luci e ombre, tra scarsità di finanziamenti, invecchiamento della popolazione, incremento delle patologie croniche e aumento dell'out of pocket. Intervista a tutto campo con uno dei maggiori esperti di sanità pubblica mentre si apre oggi a Roma la #MaratonaPattoSalute
Carenza di medici e infermieri. Bambini a rischio per non essere stati vaccinati. Invecchiamento della popolazione, incremento delle patologie croniche e aumento dell’out of pocket. Qual è la fotografia della sanità pubblica italiana? Ne abbiamo parlato con uno dei maggiori esperti: Walter Ricciardi, già presidente dell’ Istituto superiore di sanità, oggi professore ordinario di igiene e medicina preventiva all’Università Cattolica (sede di Roma), mentre proprio oggi si apre a Roma la #MaratonaPattoSalute, tre giorni (fino al 10 luglio) promossi dal dicastero competente e dedicati all’ascolto dei protagonisti della sanità italiana in vista della definizione del nuovo Patto per la Salute .
Professore, in Italia mancano 8 mila medici. Dopo le proposte di alcune Regioni di richiamare quelli in pensione, di impiegare medici militari (il 23 giugno il ministro della Difesa Elisabetta Trenta ha fatto sapere da Campobasso che il dicastero sta studiando la questione) o di “importarli” dall’estero, la Fnomceo (Federazione degli ordini dei medici) ha lanciato una campagna contro la fuga dei camici bianchi all’estero. Che cosa sta succedendo?
“È mancata la consapevolezza su un problema che si è manifestato da tempo, si è acuito negli ultimi 20 anni, doveva essere affrontato dai ministri della Salute e dell’Università e della ricerca ma, nonostante le nostre sollecitazioni, è stato sottovalutato. Nel nostro Paese c’è un paradosso. I medici esistono, ne formiamo 10 mila l’anno; sono bravi, giovani e desiderosi di lavorare in Italia ma la carenza di risorse destinate alle borse in tutti questi anni non ne ha favorito la specializzazione. Un “imbuto formativo” a causa del quale li regaliamo ad altri paesi che offrono loro la possibilità di specializzarsi, imparare la lingua, li assumono a tempo indeterminato con stipendi appetibili e certezza di carriera. Ovvio che non ritornano. Il ministero della Salute ha concordato un aumento significativo delle borse da 6000 a 8000 dall’anno prossimo. Sforzo importante ma non sufficiente. La risposta deve essere strutturale perché la gobba pensionistica peggiorerà ulteriormente la situazione.
Nei prossimi anni il Ssn perderà circa 56mila medici dei quali ne verranno rimpiazzati solo il 75%, circa cioè 42mila. Qui si innesta il problema di fondo: occorre affrontare seriamente la questione finanziamento del Ssn operando delle scelte.
Oggi le risorse destinate alla sanità pubblica sono 114 miliardi e 439 milioni di euro ma la popolazione invecchia, aumenta l’incidenza di patologie croniche e quindi la domanda di prestazioni e il consumo di farmaci. Cresce sempre più il privato che oggi sfiora i 40 miliardi mentre l’out of pocket, ossia quello che il cittadino è costretto a pagare di tasca propria, aumenta di 2 miliardi l’anno, una spesa ormai fuori controllo che non tutti sono in grado di sostenere; per questo 3 – 4 milioni di italiani sono stati costretti a rinunciare alle cure.
Nei giorni scorsi pure la Fnopi (Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche) ha lanciato un allarme: oggi mancano 30 mila infermieri, tra 5 anni saranno il doppio; una carenza che fa aumentare il rischio di mortalità dei piccoli ricoverati nelle pediatrie degli ospedali.
“Abbiamo formato molti medici ma non abbiamo formato infermieri a sufficienza per le nostre esigenze. Negli ultimi anni le vocazioni a questo lavoro – faticoso, usurante e non adeguatamente remunerato – si sono progressivamente contratte. Lo sceglie solo chi è realmente motivato e molti di loro vanno all’estero. In Gran Bretagna, Francia e Svizzera esistono interi reparti di infermieri italiani. Per queste carenze di operatori sanitari non vedo vie di uscita a breve termine. Le soluzioni emergenziali che si stanno inventando le Regioni sono francamente ridicole e rispecchiano una situazione che è quasi di panico. L’unica strada è tentare di essere attrattivi incentivando i medici stranieri a venire in Italia e i nostri medici e infermieri a rientrare, ma non potrà essere risolutiva. La questione non riguarda più i ministri della Salute e dell’Università o le Regioni.
E’ un’emergenza nazionale che deve essere presa in carico dalla Presidenza del Consiglio Serve un tavolo di lavoro in grado di elaborare scelte e assumere decisioni nel lungo periodo. I dati oggettivi ci sono: a breve non si potranno più eseguire interventi chirurgici o erogare prestazioni cruciali per il paese. Se questa emergenza nazionale non verrà affrontata si trasformerà a breve in catastrofe nazionale.
Nei giorni scorsi anche la notizia di una bimba che a Verona lotta in terapia intensiva contro il tetano, non vaccinata nonostante i ripetuti solleciti della Asl competente ai genitori…
“La legge Lorenzin che ha introdotto l’obbligatorietà dei vaccini ha messo in sicurezza migliaia di bambini piccoli, ma la decisione del Parlamento di consentire dal 1999 l’ingresso a scuola senza l’esibizione del certificato vaccinale per difterite, tetano, poliomielite ed epatite B è stata una sciagura per il Paese che oggi è una ‘bomba microbiologica’. Questa bambina di 10 anni non è stata messa in sicurezza della legge Lorenzin che purtroppo copre soltanto la fascia 0 – 6 anni. Rispetto al testo originario, il provvedimento è uscito indebolito, frutto di un compromesso, e per gli over 6 – centinaia di migliaia di bambini e ragazzi – prevede soltanto una moral suasion e una sanzione. Sono inoltre preoccupato per un disegno di legge che intende rivedere la Lorenzin al ribasso mentre dovrebbe essere riveduta al rialzo aumentando la soglia di vaccinazione obbligatoria, senza se e senza ma, fino ai 16 anni come era nel disegno di legge originario.
Nell’immediato assisteremo ancora a casi di tetano, difterite, polio e meningite; non saranno grandi epidemie perché una buona parte della popolazione è vaccinata ma i bambini non immunizzati saranno sempre più esposti anche perché la circolazione dei germi sta aumentando”.
Si riaccende periodicamente il dibattito sulla sostenibilità del nostro sistema sanitario. Lei parla di “battaglia per la salute”. Perché?
Una battaglia di cui prevedevo l’inizio in un prossimo futuro ma che invece è già cominciata. Battaglia per chi deve finanziare la sanità, perché risorse pubbliche già scarse, minacciate dalla crisi e dal debito pubblico, sono state dirottate su altri versanti come il reddito di cittadinanza e quota 100. Battaglia per chi la gestisce con pochi medici e scarse risorse e deve far fronte ad un’aumentata domanda di salute; per gli operatori sanitari ai quali viene chiesto l’impossibile. Infine per i cittadini che di fronte a crescenti difficoltà d’accesso ai servizi pubblici sono costretti a pagare di tasca propria secondo una modalità che, come ho già detto, esclude già 3 /4 milioni di persone.
In che modo, allora, tentare di mettere in sicurezza un sistema universalistico invidiato in tutto il mondo?
Servono anzitutto finanziamenti adeguati e migliore allocazione delle risorse; occorre inoltre lavorare sulla governance per un nuovo rapporto Stato-Regioni, contrastare corruzione e sprechi, superare ritardi culturali, organizzativi e gestionali. Occorre inoltre rafforzare la prevenzione e modificare l’organizzazione dei servizi di cura, definendo nuovi percorsi assistenziali in grado di prendere in carico il paziente nel lungo termine garantendo continuità assistenziale e integrazione degli interventi socio-sanitari”.