Ricchi e poveri sempre più distanti. La realtà del Rapporto Oxfam
Il World Inequality Report evidenzia come i 26 Paperon de' Paperoni del mondo possiedano il patrimonio pari alla metà più povera dell’intera popolazione della terra.
C’è una continua crescita della distanza tra i ceti sociali alti e quelli bassi. Questo avviene per una separazione anche fisico/spaziale tra loro. Non soltanto si incontrano meno nella quotidianità, ma i primi hanno sempre meno bisogno degli altri perché si sono costruiti mondi su misura composti da grattacieli imponenti o da villaggi separati e asettici. Lì diventano intoccabili, mentre gli altri ruotano intorno senza poter incidere.
Il recente World Inequality Report pubblicato da Oxfam evidenzia come lo scorso anno i 26 Paperon de’ Paperoni del mondo possiedano il patrimonio pari alla metà più povera dell’intera popolazione della terra. I più ricchi hanno visto aumentare la loro ricchezza del 12%, mentre la parte più povera ha subito una diminuzione dell’11%. Questa disuguaglianza aumenta in modo costante dal 2011, avvisano i ricercatori. Si evidenzia che se l’economia mondiale cresce non è detto che tutti possano goderne i frutti. Questo è il fallimento di quella che viene chiamata la teoria delle “ricadute favorevoli”, che spiegano che l’arricchimento di alcuni porterà indirettamente a migliorare le condizioni degli altri. Non funziona così, anzi. In questo tempo le politiche dei Paesi – aggiunge il Report – non sono state dirette alla redistribuzione.
Negli ultimi decenni un esempio lo si ricava dalle politiche fiscali che hanno visto ridurre le imposte sui patrimoni: nei paesi ad economia avanzata l’aliquota massima per le persone fisiche è passata in media dal 62% degli anni Settanta al 38% del 2013. Secondo il Report se l’1% dei più ricchi pagasse lo 0,5% in più di tasse le risorse potrebbero pagare la scuola a 262milioni di bambini. Invece si finisce per costruire muri di separazione sempre più spessi.
Purtroppo come ha evidenziato Papa Francesco già nell’Evangelii Gaudium: «Per poter sostenere uno stile di vita che esclude gli altri, o per potersi entusiasmare con questo ideale egoistico, si è sviluppata una globalizzazione dell’indifferenza. Quasi senza accorgercene, diventiamo incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, non piangiamo più davanti al dramma degli altri né ci interessa curarci di loro, come se tutto fosse una responsabilità a noi estranea che non ci compete. La cultura del benessere ci anestetizza e perdiamo la calma se il mercato offre qualcosa che non abbiamo ancora comprato, mentre tutte queste vite stroncate per mancanza di possibilità ci sembrano un mero spettacolo che non ci turba in alcun modo» (54).