Rabbino David Fox Sandmel: “La sfida è vincere gli haters e fare in modo che il bene faccia notizia”
David Fox Sandmel è uno dei direttori dell’Anti-Defamation League, forse la più autorevole organizzazione di monitoraggio e contrasto all’antisemitismo nel mondo con sede a New York. Al Sir analizza il momento presente. “Non sono d’accordo - dice - che oggi sia sempre più difficile accettare l’altro. Quello che vedo è che gli haters ottengono molta attenzione, sulla stampa e su Internet. La sfida, allora, è come mettere insieme 'i buoni' e fare in modo che il bene faccia notizia”
“Penso che non ci sia un amico della comunità ebraica migliore della Chiesa cattolica”. È importante quello che il rabbino David Fox Sandmel dice. È uno dei direttori dell’Anti-Defamation League, forse la più autorevole organizzazione di monitoraggio e contrasto all’antisemitismo nel mondo con sede a New York. In questa intervista al Sir, il Rabbino spiega le ragioni della sua affermazione elencando tutte le volte che rappresentanti della Chiesa cattolica sono scesi in campo con determinazione per difendere la comunità ebraica da attacchi e violenze purtroppo in crescita. Lo abbiamo incontrato a Roma, in una delle pause dell’incontro dell’International Liaison Committee (Ilc), al quale prendono parte la Commissione vaticana per i rapporti religiosi con l’ebraismo e l’Ijcic (International Jewish Committee for Interreligious Consultations). Al centro dei lavori, le grandi questioni delle migrazioni, dell’antisemitismo e della persecuzione dei cristiani.
Rabbino, dal suo osservatorio, quanto è pesante il problema dell’antisemitismo qui in Europa?
Sono state fatte molte ricerche, sia sugli eventi occasionali che sugli atteggiamenti di fondo e si è riscontrato un aumento generalizzato nel mondo, negli Stati Uniti come in Europa, della violenza contro gli ebrei e anche un accresciuto senso di disagio da parte degli ebrei, molti dei quali parlano di andarsene via dalle città in cui vivono e in cui non si sentono più sicuri. E queste sono questioni serie. L’antisemitismo è spesso collegato al problema delle migrazioni perché se si guarda ai gruppi anti-immigrazione di estrema destra, ci si accorge che in questi contesti spesso a fare da capro espiatorio sono gli ebrei! Quindi è tutto collegato.
Cosa la preoccupa di più?
La crescita dei nazionalismi e del linguaggio antisemitico. Voglio essere attento a non generalizzare ma sono fenomeni comuni a tutti i gruppi estremisti, di destra e di sinistra. Le critiche – pur legittime – oltrepassano il limite, sia dal punto di vista della retorica che del linguaggio eccessivo utilizzato. La situazione che si sta creando, con la penetrazione sempre più capillare nella vita degli individui e nella società, di Internet ha determinato un deciso deterioramento del discorso pubblico e in questo contesto anche l’antisemitismo sta diventando sempre di più la tendenza principale. La gente dice cose che non avrebbe mai detto cinque o dieci anni fa. Una situazione molto fastidiosa. Poi ci sono gli aspetti positivi.
Quali?
Ad esempio, la reazione dei governi i cui rappresentanti fanno forti dichiarazioni pubbliche sull’inaccettabilità di queste posizioni antisemite. Lo vediamo in Francia con il presidente Macron, e già con Emmanuel Vals alcuni anni fa, ma anche nel Regno Unito con Theresa May o in Germania con Angela Merkel. A chi dice che stiamo vivendo in tempi simili agli anni ‘30, io rispondo che in quel periodo storico a teorizzare le tesi dell’antisemitismo erano i governi stessi. Ma la storia passata deve responsabilizzare chi oggi ha potere politico. Perché è un problema quando la gente dice: “Non vado più agli eventi ebraici perché ho paura” oppure “non esco più di casa con il kippah perché ho paura”. Questo è un problema e non voglio dire che questo è un problema degli ebrei ma che è tutto collegato.
Lei qui a Roma ha incontrato Papa Francesco. Qual è l’importanza del ruolo della Chiesa cattolica rispetto a questo tema?
Già a partire dal 1965 con Nostra aetate ma anche prima con Giovanni XXIII, la Chiesa cattolica è stata quella che ha affrontato più seriamente il tema delle proprie radici giudaiche, e anche del suo rapporto con gli ebrei. E lo ha fatto per estirpare l’antiebraismo che era presente nella Chiesa. Questo impegno risulta molto chiaro in tutti i Papi, da Giovanni XXIII a Papa Francesco, e non solo al vertice.
Quando dice non solo al vertice, cosa intende?
Non so se avete saputo che alcuni giorni fa, a Chicago un prete cattolico ha invitato nella sua chiesa Louis Farrakhan, leader afroamericano a capo dell’organizzazione religiosa The Nation of Islam, noto per le sue posizioni contro gli ebrei. In questi anni ha detto delle cose antisemite terribili e la comunità ebraica, ovviamente, ha protestato per questo invito. L’arcivescovo di Chicago, il cardinale Cupich, è subito intervenuto rilasciando dichiarazioni molto forti e scusandosi pubblicamente con i suoi fratelli e le sue sorelle ebrei per questo gesto di cui non era conoscenza. Lo stesso è accaduto in Polonia. La Chiesa cattolica in Polonia ha condannato il rituale antisemitico fatto a Pruchnik nel periodo di Pasqua durante il quale hanno impiccato e bruciato un pupazzo con le effigie di un ebreo. Anche lì, il vescovo cattolico locale è intervenuto e in un comunicato ha detto che la Chiesa cattolica non tollererà mai più manifestazioni di disprezzo simile. Penso quindi che non ci sia un amico della comunità ebraica migliore della Chiesa cattolica. E credo che sia importante che ebrei e cattolici si confrontino sulle grandi questioni delle migrazioni e dell’antisemitismo non solo per dialogare fra loro, ma per capire cosa possono fare insieme di utile per gli altri.
Allora qual è il messaggio che volete trasmettere ad un mondo così difficile, dove è sempre più difficile accettare l’altro?
Non sono d’accordo che oggi sia sempre più difficile accettare l’altro. Quello che vedo è che gli “haters”, gli “odiatori” ottengono molta attenzione, sia da parte della stampa che su Internet. Prendiamo gli attentati di ChristChurch, o di Pittsburgh, o dello Sri Lanka, vediamo che poche persone possono distruggere delle vite e ottenere molta attenzione. Ma la verità è che la maggior parte della gente considera questi gesti un abominio. La sfida allora è come mettere insieme “i buoni” e fare in modo che il bene “faccia notizia” e riesca a raggiungere quelli che sono stati avvelenati dalle cattive notizie. Io vivo in un appartamento di un condominio, e quando c’è stata la sparatoria di Pittsburgh la mia vicina di casa è venuta ad abbracciarmi e a farmi le condoglianze. Questo è il tipo di cose che meritano di ottenere l’attenzione.