Per la prima volta lo Stato aiuta a morire. Pensieri attorno al suicidio assistito di “Gloria”
Gloria è morta, domenica scorsa. Lo ha voluto. Lo ha scelto. Si è sottoposta a tutte le verifiche previste ed è stata ritenuta idonea al suicidio assistito. E per la prima volta in Italia, l’azienda sanitaria di riferimento, l’Ulss 2 di Treviso, si è fatta parte attiva e ha dato corso completo alla procedura.
Gloria – il nome è di fantasia – aveva 78 anni, era malata di tumore, non voleva più provare altri dolori, non voleva più attraversare il calvario a cui i malati terminali sono costretti. Così, questa morte apre di certo una pagina inedita della nostra storia, quella in cui lo Stato, per tramite delle sue ramificazioni, aiuta chi decide di togliersi la vita, chi intende esercitare il “diritto” di farla finita. Ci troviamo al cospetto di un tema enorme, in gioco appunto c’è la vita. Lo ammettiamo, accostare il termine diritto all’idea dell’auto annientamento fa impressione. Eppure il fine vita rappresenta una soglia su cui le sensibilità titubano, si dividono, esprimono un’idea che è pronta a cambiare laddove si trovassero a contatto con una di queste situazioni. Nemmeno tra i credenti la scelta è scontata o semplice. Significativa la scelta di rispetto e di raccolta in preghiera compiuta dalla comunità cristiana dove abitava la signora trevigiana. Rispetto è la prima parola chiave. Da parte di chi ha condiviso l’ultimo estenuante tratto di strada di Gloria e, ancora di più, da parte di chi di lei nulla sa e nulla può comprendere. Sì, perché la scelta alla fine è personale. Di fronte a svolte così grandi nella vita, alla fine, ci si trova da soli, la decisione appartiene solo a se stessi, anche se la mente spazia a molti altri, ai familiari che dovranno sopportare il vuoto della nostra assenza, a chi al mondo ci ha messi, anche se molti anni fa, a tutti coloro i quali ci hanno voluto bene. Che ci piaccia o no, è nelle fibre profonde di chi attraversa quei momenti che si irradia la forza o la debolezza, la volontà di vivere o la sensazione che quella non sia più vita. Alla prima, tuttavia, segue una seconda parola chiave, legge. In questo caso, occorre una decisione collettiva, quella del Parlamento, che ancora non c’è. E infatti il suicidio assistito di Gloria si basa giuridicamente su pronunciamenti della Corte Costituzionale. Ancora una volta la politica ha delegato la magistratura, mescolando così i poteri fondamentali della Repubblica e tradendo la Costituzione. La scelta è complicata per i singoli, lo è di certo anche per chi viene eletto per amministrare la cosa pubblica, eppure il voto popolare ha il significato della delega a decidere per tutti: occorrono poche e chiare parole. La terza parola chiave è assistenza. E la prendiamo a prestito da Silvio Garattini, farmacologo di fama mondiale e fondatore dell’Istituto Mario Negri di Milano, con cui proprio pochi giorni fa abbiamo avuto l’opportunità di parlare di questi temi. Ricordando la sua formazione cattolica e la sua fede, sosteneva come il comandamento “Ama il prossimo tuo come te stesso” sia l’architrave di molte decisioni. Amare il prossimo, per Garattini, è anche predisporre cure palliative adeguate e, soprattutto, occuparsi con amorevolezza della persona malata. «Sono convinto che in questa situazione nessuno chiederebbe di morire», chiosava lo scienziato, pur ammettendo che esistono casi in cui la situazione irreversibile della patologia si unisce a dolori e patimenti che ancora la medicina non è in grado di attenuare. Rimane infine il dolore, pensando al travaglio interiore di Gloria e di tutte le persone che arrivano a percepire la morte migliore della vita, per la condizione in cui vengono a trovarsi. La speranza è che ci sia sempre una mano calda e uno sguardo di affetto nelle vicinanze. Sulla morte senza esagerare scriveva la poetessa Nobel per la letteratura nel 1996 Wisława Szymborska: «Chi ne afferma l’onnipotenza è lui stesso la prova vivente che essa onnipotente non è. Non c’è vita che almeno per un attimo non sia stata immortale. La morte è sempre in ritardo di quell’attimo».