Pedagogia della bontà. In Avvento giovani a lezione di misericordia
Ai giovani occorre spiegare che la bontà è soprattutto misericordia. L’Avvento può essere una grande opportunità per riportare il tema della virtù nella quotidianità
Cosa scriveremo quest’anno nella nostra letterina sotto l’albero?
Siamo stati buoni? O siamo stati buonisti? E soprattutto come si misura oggi la bontà? E di quale bontà potremmo parlare? Quella che appartiene alla nostra quotidianità, o quella del cyberspazio nel quale pure viviamo una sorta di esistenza parallela?
La faccenda è intricata.
In un volume relativamente recente intitolato “Verità, bellezza, bontà. Educare alle virtù nel XXI secolo” lo psicologo statunitense Howard Gardner affronta proprio il tema della pedagogia della bontà. Difficile nella società contemporanea, spiega lo studioso, mettere a fuoco il nucleo autentico e fondante di una virtù “angolare” come la bontà. Gardner richiama l’attenzione del lettore sulla distinzione tra la “morale di vicinato” e l’“etica” vera e propria, specificando però che l’etica stessa è un principio che tende a essere oggi continuamente rinegoziato, soprattutto dai media.
A rendere poi il tutto ancora più complicato è la dicotomia che costantemente tende a proporsi tra vita reale e web life, dove la tendenza più marcata è quella della contrapposizione faziosa tra cordate di opinioni e l’autoreferenzialità avulsa dai principî. Nella web life, inoltre, la “verità” si afferma a suon di “like”, confondendosi pericolosamente con il consenso.
Nella quotidianità, d’altro canto, tutto si mischia e tende alla “liquidità”. Cosa è davvero la bontà? Come si può mettere a fuoco il principio etico che sta alla base di tale virtù?
In questo tempo di Avvento dovrebbe essere più semplice ristabilirne i contorni. Il lavoro da fare coi nostri giovani dovrebbe essere proprio una sorta di “calendario” che possa proporre (al posto o insieme ai cioccolatini) degli spunti di riflessione sui temi profondi della fratellanza e della solidarietà.
Quando Gardner dice che occorre discriminare la “morale di vicinato” dall’etica, intende che il primo passo verso la virtù risiede nell’emancipazione dal “particulare”. Abbiamo gli strumenti per poter specchiarci nell’Altro senza pregiudizi e ritrovare in noi stessi l’autentico senso della giustizia, come moto interiore al di là di ogni condizionamento.
Ai giovani occorre spiegare che la bontà è soprattutto misericordia. L’Avvento può essere una grande opportunità per riportare il tema della virtù nella quotidianità di questa attesa e per sperimentarne i benefici.
Occorre sgomberare però il campo dall’equivoco che la bontà sia un sentimento ingenuo o indiscriminato. La bontà è essenzialmente un valore impegnativo e faticoso, una ricerca costante di equilibrio ed equità. Per i giovani non deve essere un “contagio emotivo” sperimentato in rete e suggestionato dalle immagini, ma una vena aurea interiore a cui attingere.
La bontà è una risposta adeguata a una necessità profonda. E’ la capacità di riconoscere le fragilità altrui e le proprie e di sostenerle e arginarle.
La bontà inoltre è un fondamento etico che può concretamente migliorare la società in cui siamo immersi, soprattutto se trasmessa ai giovani come valore imprescindibile e umano.
Essere buoni vuol dire restituire alla nostra radice umana la funzione di perno nelle relazioni. Vuol dire rinunciare all’ipocrisia delle parole per dedicarsi alla concretezza e alla efficacia dei gesti. Rinunciare alla retorica diffusa e ai like che si porta dietro. Staccarsi dalle cordate di maggioranza e trovare il coraggio di vivere la propria identità, pensando in maniera critica e rinunciando alla pericolosa attitudine al compiacimento.
L’immagine finale e autentica, custodita dall’ultima finestrella del nostro calendario etico dell’Avvento, sarà il Bambino nella mangiatoia che chiede di essere accolto e protetto. Facciamo in modo che i nostri ragazzi ne colgano l’epifania e non si limitino a metterci sotto un “like”.
Silvia Rossetti