Papa Francesco ci invita a una preghiera che diventi azione. Capaci di misericordia
Alla domanda su quali siano le nostre azioni più grandi San Tommaso D’Aquino rispondeva le opere di misericordia verso il prossimo.
Quale culto gradisce il Signore? Se è vero che il primato spetta alla relazione con Dio, il Papa invita a non dimenticare che “il criterio per valutare la nostra vita è anzitutto ciò che abbiamo fatto agli altri” (GE 104).
La preghiera è preziosa nella misura in cui alimenta una donazione d’amore. Per discernere l’autenticità del nostro cammino di preghiera dobbiamo vedere se la nostra vita si sta orientando secondo la dimensione della misericordia.
La misericordia è il modo di agire di Dio, ma anche il criterio per riconoscere i suoi figli e “benché la misericordia non escluda la giustizia e la verità” essa è “la pienezza della giustizia e la manifestazione più luminosa della verità di Dio” (GE 105). Alla domanda su quali siano le nostre azioni più grandi San Tommaso D’Aquino rispondeva le opere di misericordia verso il prossimo.
È attraverso queste opere che si glorifica Dio e questo aveva ben capito Santa Teresa di Calcutta che diceva “Lui si abbassa e si serve di noi, di te, di me per essere suo amore e sua compassione nel mondo, nonostante i nostri peccati […] Lui dipende da noi per amare il mondo e dimostrargli quanto lo ama. Se ci occupiamo troppo di noi stessi, non ci resterà tempo per gli altri” (GE 107). Avevamo mai pensato all’amore per gli altri come una responsabilità di trasmettere l’amore di Dio? È chiaro che in quest’ottica non c’è spazio per quel consumismo edonista che ci fa ripiegare tutti su noi stessi e sui nostri bisogni.
Affannati nella ricerca del benessere, inseguiamo le sirene di chi vorrebbe farci comprare tutto e rischiamo di rimanere sempre insoddisfatti. “Anche il consumo di informazione superficiale e le forme di comunicazione rapida e virtuale possono essere un fattore di stordimento che si porta via tutto il nostro tempo e ci allontana dalla carne sofferente dei fratelli” (GE 108). In effetti come fare in modo che i media non invadano il nostro spazio vitale fino al punto di anestetizzare i nostri sensi rispetto alla vita reale che ci circonda. Pensiamo alle migliaia di persone che per strada, o in metropolitana, sono un tutt’uno con i loro auricolari e il loro smartphone, non sentono e quasi non vedono fuori da sé.
Possono accorgersi del bisognoso a cui passano a fianco o piuttosto lo ignorano come nella parabola il levita e il sacerdote che non toccano neanche il viandante sofferente? Quegli auricolari sono già di per sé il segno di una volontà di estraniarsi e di fare in modo che la mia vita non si contamini con la vita di tutte quelle persone anonime che sono costretto a incrociare sulla mia strada. E i figli che passano pomeriggi davanti al loro tablet?
Guardano, ascoltano, giocano, si divertono, ma quanto esercitano il loro senso critico sui bisogni della città in cui vivono? Quanto affinano la sensibilità nei confronti di chi sta peggio di loro? Nell’invitarci ad una preghiera che diventi azione, il Papa ci invita anche a vigilare e a dare un esempio in famiglia perché i piccoli non possano dire, una volta divenuti adulti, che nessuno gli aveva mai indicato una via alternativa di spendere il loro tempo: la via maestra della dedizione all’altro.
Giovanni M. Capetta