La guerra dei dazi e delle valute porta la recessione
Fra le componenti di un rischio recessione globale 2019-2020 c’è anche un più ridotto spazio d’azione delle banche centrali: in passato allentando le briglie, quindi abbassando i tassi, aprivano uno scenario in cui era meno pericoloso fare debiti per investire e comprare. E’ quanto si accinge a fare di nuovo la Bce in Europa; negli Usa Trump critica la banca centrale (Fed, Federeal Reserve) accusandola di non accompagnare l’economia. Nelle prossime settimane altri dati economici permetteranno di capire se l’economia sta rallentando ovunque: lo vedremo dai dati dell’occupazione, dalle mosse delle banche centrali e, forse, da una più accesa competizione delle valute. Una gara a indebolirle per favorire la convenienza delle proprie esportazioni. Dazi permettendo
Che recessione sarà? Di un’area, di più continenti? O globale di cui già si parla, cioè un immenso effetto domino dove le economie si ritraggono tutte insieme per una sfiducia generalizzata? Innanzitutto va ricordato che recessioni globali ci sono periodicamente e provocano danni prolungati di immobilismo e sfiducia. Nella recessione tecnica si entra con due trimestri consecutivi di contrazione del prodotto interno lordo (il Pil che è la ricchezza prodotta in un Paese). Alcuni economisti non si fermano a quel dato e cercano riscontri in altri macrodati come l’occupazione, la produzione o le vendite al dettaglio. E’ interessante capire come mai si sia diffusa la convinzione che l’economia globale tornerà indietro, anche nelle aree forti come gli Usa, la Germania, con rallentamenti imprevisti in Cina. Gli economisti guardano i segnali premonitori, per coglierne durata e intensità e per capire dove la grandinata si scaricherà maggiormente sapendo che toccherà tutti. Compresi i Paesi a crescita debole come l’Italia. Non tutte le crisi sono state uguali.
A grandi linee la recessione del 2001 venne innescata dalla caduta dall’eccesso di attese, e quindi di valutazione, dei titoli legati a Internet.
Nel 2007 furono i titoli finanziari Usa troppo esposti ai mutui subprime (cioè di scarsa qualità) venduti pur sapendo che gran parte non sarebbero stati rimborsati. La crisi annunciata per il 2019-2020 non è un solo focolaio di crisi pericoloso. Assomiglia più alla crisi degli anni ’90 quando confluirono più fattori. La caduta che sta arrivando è l’effetto di guerre dei dazi commerciali cui si aggiungono altre debolezze collegate. L’ostilità politica e commerciale degli Usa nei confronti della Cina, determina un indebolimento di Pechino che già soffre di squilibri interni. La crescita è ridotta sotto il 5% con il dubbio che i dati statistici siano poco precisi per eccesso.
Se va in crisi una grande economia che è forte importatrice (ad esempio di materie prime) il contagio è generale. Rimbalza anche sui fornitori, sui produttori di auto e alla fine raggiunge l’economia Usa. Una crisi cinese non fa bene all’Europa che esporta molto. Si sta fermando la Germania che rischia di finire l’anno in recessione e sta già pensando a piani di rilancio dell’economia con soldi pubblici quindi con un maggior debito. L’Italia è molto legata all’economia tedesca e ai Paesi dove è forte il nostro export. I consumi interni sono ancora molto deboli. La battaglia dei dazi partita da lontano arriva direttamente e indirettamente.
Fra le componenti di un rischio recessione globale 2019-2020 c’è anche un più ridotto spazio d’azione delle banche centrali: in passato allentando le briglie, quindi abbassando i tassi, aprivano uno scenario in cui era meno pericoloso fare debiti per investire e comprare. E’ quanto si accinge a fare di nuovo la Bce in Europa; negli Usa Trump critica la banca centrale (Fed, Federeal Reserve) accusandola di non accompagnare l’economia. Nelle prossime settimane altri dati economici permetteranno di capire se l’economia sta rallentando ovunque: lo vedremo dai dati dell’occupazione, dalle mosse delle banche centrali e, forse, da una più accesa competizione delle valute. Una gara a indebolirle per favorire la convenienza delle proprie esportazioni. Dazi permettendo.