La cura del dialogo. C’è la paura dell’altro, di qualcuno che non conosciamo e che viene a bussare alla nostra porta
Invece di cercare relazioni e costruire spazi di dialogo che possano offrire occasioni e percorsi alternativi, si innalzano muri e si sbarrano le porte.
Crescono senza controllo le piante della diffidenza e dell’astio verso gli altri, a volte senza ragioni concrete, molto spesso per difendere principi si trascura la sorte delle persone. Invece di cercare relazioni e costruire spazi di dialogo che possano offrire occasioni e percorsi alternativi, si innalzano muri e si sbarrano le porte.
Così – ad esempio – vengono lasciate in attesa del permesso di attraccare per giorni, navi di organizzazioni non governative, che hanno raccolto in mare migranti su insicuri barconi, ad esempio. “In fondo non ci si può caricare il peso di tutti”; “Però la responsabilità dovrebbe essere condivisa con gli altri paesi dell’Ue”: sono alcune delle risposte neutre.
Dietro quelle risposte, però, c’è la paura. C’è la paura dell’altro, di qualcuno che non conosciamo e che viene a bussare alla nostra porta. E poi c’è la ricerca di creare una contrapposizione. In Italia e in Europa ci sono politiche che si radicano sulla ricerca della contrapposizione, che oggi rispolverano la vecchia idea dei nazionalismi. Questa idea si è aggiornata ed è diventata più subdola. Non si tratta più di professare il riconoscimento di un popolo sulla base di una comune origine etnica, sebbene poi si continui a difendere la legittimità di una cittadinanza fondata sullo jus sanguinis rispetto ad altre vie opzioni valide e percorribili. Oggi si marca una “differenza culturale” – come evidenzia il massmediologo Chirstian Fuchs – nella quale si dichiara che la convivenza tra persone che appartengono a comunità differenti non è possibile. Le differenze culturali ci renderebbero incompatibili. Innalzerebbero una barriera tra noi e loro, gli altri. Secondo Fuchs le piattaforme web 2.0 diventerebbero le maggiori casse di risonanza dove la distanza, si tramuta in paura e dove l’insicurezza genera l’antagonismo. Tutto nascosto dalla giustificazione dell’insufficienza delle risorse: allora prima gli italiani. Così si confrontano l’assistenza sanitaria ai migranti con il degrado urbano, la chiusura delle imprese con lo sbarco dei migranti. Questi tanti, piccoli, paragoni senza connessioni reali costruiscono una narrazione che finisce per validare una politica precisa: attenzione a noi stessi e disinteresse per gli altri.
Si potrà uscire da questa strada di paura solo con il coraggio del dialogo, perché il dialogo compone l’incontro di mondi diversi, è uno spazio aperto che avvicina le culture, le confronta, le riconosce e le rispetta senza volerle omologare. Nel percorso del dialogo l’imprevedibilità del futuro diventa la gioia dello stare insieme. Certo ci vuole intraprendenza e ci vuole disponibilità all’ascolto.