L’importanza di prendere le cose sul serio. Per una Pasqua all’insegna dell’autenticità
«Sai papà, io e il mio compagno Cesare (nome di fantasia, nda) parliamo spesso di andare a messa. Lui mi dice che vorrebbe tanto andarci, ma i suoi genitori lo portano poco…».
A queste parole di mio figlio, sei anni, ho sorriso dentro. Sulle prime ho pensato “beata infanzia” e mi sono chiesto cosa penseranno i genitori dell’amichetto di questo bambino che parla di messa a loro figlio in prima elementare, che ogni settimana viene seduto sui banchi di una chiesa, che a religione alza spesso la mano per intervenire (a dire il vero lo fa anche in chiesa…). Poi però ho pensato che quel “beata infanzia” non va declassato a sinonimo di “godiamocela finché dura l’innocenza, poi le cose cambieranno...”. Non sono un esperto di psicologia infantile né di pedagogia (anche per questo nella Difesa abbiamo la rubrica “La povere sotto il tappeto” ogni quarta domenica del mese!) eppure ho come l’impressione che il mio piccolo stia dando vera testimonianza della sua fede, di quella che può avere a questa età, prima della dell’iniziazione cristiana, e il nocciolo della questione sia prendere le cose sul serio. Quando ne parla, lui è davvero convinto, si sente che ci tiene. Certo, usciti dalla messa delle Palme, dopo la Passione secondo Giovanni, non era proprio entusiasta, mi fa: «Beh dai, oggi non mi è proprio dispiaciuto andare a messa... un po’ noioso è stato, ma ci sono state anche tante cose interessanti». E lo stesso vale per suo fratello, che parla meno ma interiorizza di più, e per tutto il tempo della liturgia della Parola non ha staccato gli occhi dall’ambone. Alla vigilia della Pasqua, la domanda che ho dentro allora è: come posso io, in quanto cristiano, aiutare questi bambini a prendere sempre sul serio le questioni di fede? No, la mia priorità non è che crescano devoti e osservanti, ma che continuino a farsi (e a farmi) domande. Perché Barabba? Perché la spada di Pietro? Anche Gesù aveva paura di morire? Perché pensava che Dio lo avesse abbandonato? Quando questi sono gli argomenti della colazione del lunedì, la settimana non parte esattamente all’insegna del relax, ma la direzione almeno ai miei occhi è quella giusta. E allora allargo il senso della mia domanda: come continuare noi, da adulti, a prendere sul serio la questioni di fede e tutte le altre? Quale testimonianza diamo rispetto a ciò che conta davvero e all’importanza che conferiamo alla nostra vita e alle nostre scelte? Questa è l’epoca della consapevolezza, se siamo nella Chiesa è necessario che ne siamo coscienti, lo stesso vale se ci sentiamo lontani. Di fronte alla Croce, in questi giorni, mi pare che l’autenticità su questi temi sia un ingrediente fondamentale per il dialogo e la crescita sociali, perché l’interiorità è una dimensione ineludibile. E poi, prendersi e prendere le cose sul serio, accogliendo la realtà è una palestra di edificazione civica. Leggendo sul Corriere della sera di martedì la bella storia che viene dalla scuola media Zanella, nel quartiere padovano dell’Arcella, dove nella sola 1a A si parlano venti tra lingue e dialetti, ma in italiano sono tutti bravi, mi ha dato conferma di questo. Va dato un plauso alla dirigente Chiara Lusini e ai suoi collaboratori perché hanno preso sul serio quel 40 per cento di ragazzi extra Ue o con genitore straniero (percentuali che salgono al 64 per la primaria e all’89 per la scuola dell’infanzia) e hanno creato una serie di attività in grado di generare vera integrazione, a prova di test Invalsi. In classi come queste l’autenticità è immediatamente evidente, si tratta di riconoscere le differenze, accoglierle e permettere di esprimere tutte le ricchezze insite in questo stato di cose, guardando in faccia le persone, i ragazzi e i loro genitori, più che soffermandosi sui numeri. Tornando tra le mura di chiese e patronati, l’impressione è che invece spesso le differenze siano colte come un ostacolo al cammino più che come un dono da scartare. Tanto più se le differenze superano qualche confine tradizionale (o morale). A tutti voi, lettori del nostro settimanale diocesano, il carissimo augurio di una Pasqua autentica, che ci porti a ciò che di più conta.