L’alluvione in Romagna, la lezione da imparare. Quanto accaduto indica chiaramente la necessità di un cambio di rotta, prima di tutto culturale
Al di là delle piogge eccezionali (che vanno di pari passo con il secco eccezionale dei mesi precedenti), è in effetti il tema degli investimenti quello al quale prestare più attenzione.
Una serie di numeri per descrivere l’accaduto. Una ridda di polemiche e di promesse. Un elenco di tragedie e di lutti. Quanto accaduto in questi giorni in Romagna può essere sintetizzato così: dopo una siccità che alcuni hanno descritto biblica (e che certamente ha dell’epocale), alcune ore di piogge torrenziali hanno capovolto il quadro ma non i suoi effetti dal punto di vista economico e sociale. Morti, danni e devastazioni la fanno ancora una volta da padroni. Anche in agricoltura. Di fronte a tutto questo, occorre capire e poi agire.
I coltivatori diretti, a poche ore dal disastro romagnolo, hanno già fatto i conti. In Romagna – spiegano -, nell’arco di soli due giorni si sono abbattute ben 30 bombe d’acqua su un territorio reso fragile dalla prolungata siccità a causa della caduta al nord del 40% di precipitazioni in meno nel primo quadrimestre dell’anno. Il risultato, dice Coldiretti, sono oltre 5mila aziende agricole sott’acqua con serre, vivai e stalle dove si contano animali affogati e decine di migliaia di ettari allagati di vigne, kiwi, susine, pere, mele, ortaggi e cereali e strutture di lavorazione dei prodotti agricoli. A rischio, spiega sempre l’organizzazione agricola, sarebbero qualcosa come 50mila posti di lavoro.
E per una volta, tutto il sistema agroalimentare dello Stivale è d’accordo: perché ad affogare è uno dei territori più importanti e generosi per l’agroalimentare nazionale. “Le esondazioni – ha detto in una nota Cia-Agricoltori Italiani nelle ore del disastro-, stanno letteralmente liquefacendo i terreni, con danni incalcolabili a colture, infrastrutture produttive e alle abitazioni civili e rurali. Subito, dunque, una legge speciale urgente e nel frattempo si attivino interventi collaterali a supporto di famiglie e imprese, come la sospensione di mutui e bollette”. Una richiesta analoga a quella fatta da Confagricoltura che ha aggiunto: “I danni ammontano a non meno di 6mila euro ad ettaro per i seminativi e a 32mila per i frutteti. all’Emilia Romagna e dalle Marche arriva forte e chiaro il messaggio che occorre cambiare rotta, e con urgenza, per migliorare la condizione del territorio e delle strutture. A differenza del passato, le risorse finanziarie non mancano: il primo segnale deve arrivare dalla revisione in corso del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)”.
Al di là delle piogge eccezionali (che vanno di pari passo con il secco eccezionale dei mesi precedenti), è in effetti il tema degli investimenti quello al quale prestare più attenzione. Investimenti che, occorre sottolinearlo, se davvero iniziati non avrebbero effetti immediati, ma che devono pur essere intrapresi. Si tratta di opere che ogni giorno di più appaiono come indispensabili e che indicano la necessità di un cambio profondo di cultura. Un traguardo che va perseguito. Nonostante quanto affermato da Anbi (l’Associazione dei consorzi di bonifica e irrigazione) il cui presidente, Francesco Vincenzi, in queste ore ha amaramente dichiarato: “Della drammatica alluvione in Romagna ci ricorderemo giusto il tempo di rendere omaggio alle vittime; poi ciascuno dovrà rimboccarsi le maniche e da solo ricostruirsi la vita, perché solidarietà delle parole e concretezza dei fatti, spesso rallentati da un’estenuante burocrazia, non vanno di pari passo: è quella, che chiamiamo la liturgia degli stati d’emergenza, consci che solo una piccola parte dei danni potrà essere ristorata dall’intervento pubblico, senza contare le conseguenze sulla vita economica e sociale del territorio. Se una lezione si vuole trarre da quanto accaduto è la necessità di ripensare le priorità ed i necessari investimenti per il futuro del Paese, perché senza sicurezza nella gestione delle acque non può esserci sviluppo”.
E ha ragione anche il Corriere Ortofrutticolo il cui direttore Lorenzo Frassoldati, scrive: “Di tutta l’acqua caduta non è rimasta una goccia negli invasi che non ci sono. Archiviata l’alluvione, rischiamo di trovarci coi danni e la beffa del ritorno della siccità e della penuria d’acqua”.
Quanto accaduto è dunque una lezione da imparare. Come molte altre che, in passato ci sono state impartite (inutilmente).