Il bianco non è una resa. È pace. Il 6 e il 9 agosto gli anniversari dei bombardamenti a Hiroshima e Nagasaki in un mondo che si riarma
Il 6 e 9 agosto si ricordano i bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki del 1945. In uno scenario attuale di progressive militarizzazione e minacce, è necessario ribadire un “no” alle armi di distruzione di massa. Lisa Clark: «Il papa ha spiegato il vero valore della bandiera bianca, che vuole dire aprire la porta al negoziato. Nessuno parla di come stoppare le guerre»
Due iniziative per ricordare ancora una volta Hiroshima e Nagasaki, le due città giapponesi colpite da bombe atomiche americane nell’estate 1945. Le propongono i Beati i costruttori di pace, insieme alla rete di associazioni e sindacati riuniti nel coordinamento padovano Uniti per la pace, per fare memoria degli eventi tragici che hanno segnato la storia, ma anche per richiamare tutti all’impegno per riscoprire il valore della comune umanità. Il 6 agosto, giorno del bombardamento su Hiroshima, alle 8 davanti a Palazzo Moroni, sede del Comune di Padova, “Ancora Hiroshima?” con la lettura di messaggi degli Hibakusha, i sopravvissuti alla bomba del 6 agosto 1945. Venerdì 9 agosto, invece, ad Aviano (Pordenone) la manifestazione “Ancora Nagasaki?” prende avvio alle 10 davanti alla base Usaf, l’aeronautica militare statunitense, con riflessioni sul vero significato della bandiera bianca e sul coraggio di negoziare come suggerito da papa Francesco. «Sono appuntamenti che da 15 anni organizziamo regolarmente e in modo semplice in due date che rappresentano momenti gravi della storia dell’umanità – sostiene Lisa Clark, attivista dei Beati i costruttori di pace – e che a Padova facciamo davanti alla sede del Comune perché il consiglio comunale già nel 2017 ha sostenuto la campagna “Italia ripensaci”, per liberarci dalle armi atomiche che ancora sono nel nostro territorio. Ritrovarsi davanti al municipio significa mettere al centro il valore della cittadinanza e ricordare che le armi nucleari sono state progettate con il preciso proposito di distruggere le città. Nascono non come strumento da “campo di battaglia” ma per colpire il luogo della vita delle persone. Ad Aviano, invece, andiamo perché ci sono delle armi nucleari che non dovrebbero più esserci e per la prima volta sventoleremo le bandiere bianche».
Un simbolo che nella coscienza comune rappresenta il segno della resa. Perché lo fate vostro?
«Siamo in guerra, abbiamo due conflitti combattuti vicino a noi e ci sembra che stia diventando normale sui media, nei discorsi delle persone e, cosa ancora più preoccupante, nelle osservazioni dei politici, ragionare in termini militari di come continuare la guerra. Nessuno parla di come finirla. Papa Francesco già a marzo ha spiegato il vero valore della bandiera bianca, che vuol dire aprire la porta al negoziato. Richiedere un cessate il fuoco come premessa al dialogo. La metteremo accanto alle nostre bandiere arcobaleno. Un atto di coraggio, non di resa, un passo verso la pace. Non è mai troppo tardi per alzare bandiera bianca e tentare vie diverse».
Da quando la Russia ha invaso l’Ucraina, il 24 febbraio 2022, il linguaggio è cambiato rispetto alle tensioni internazionali e alla possibilità di risoluzioni pacifiche dei conflitti...
«È cambiato il mondo e non so dire se la crescita delle destre estreme in Europa sia la causa o la conseguenza di questo cambiamento. Abbiamo permesso che la guerra diventasse la soluzione logica. Anche nei movimenti pacifisti c’è stato un ripensamento, fin dall’inizio non abbiamo approfondito a sufficienza la questione delle armi, dicendo che ci voleva il dialogo e chiedendo di non mandare armi. Dovevamo dire che alcune delle armi mandate all’inizio e che servivano per abbattere i missili in arrivo sulle città andavano bene. Dovevamo saper distinguere tra le armi mandate in Ucraina».
Oggi però le cose sono arrivate a una situazione di stallo.
«Militarmente la guerra non finisce se non con un infinito bagno di sangue. Per fortuna sotto traccia c’è chi lavora percorrendo strade che sembravano impossibili. La missione del segretario di Stato Vaticano, Pietro Parolin, dà piccoli segnali che fanno sperare. Crediamo che, se mettessimo tutte le nostre forze e i soldi nella costruzione di ponti di dialogo tra persone che si possono capire – come russi e ucraini – si aprirebbero tanti tavoli su piccoli problemi che un po’ alla volta si scioglierebbero».
Non è raro sentire parlare di armi nucleari come soluzione possibile in caso di innalzamento dello scontro. «La tensione sta montando molto. Il “prestito” alla Bielorussia di armi nucleari da parte russa è un segnale bruttissimo per alzare il livello della tensione. Spero che la Nato sappia fare scelte diverse, per esempio rimuovendo le armi nucleari in Italia, Belgio e Germania come hanno proposto anche decine di militari».
La società civile in Italia crede nella necessità di allontanare le armi nucleari dal nostro Paese?
«Diversi sondaggi condotti dall’Ican (la campagna globale per la proibizione delle armi nucleari, premio Nobel per la pace 2017, ndr) e Rete pace e disarmo testimoniano che in Italia oltre l’80 per cento delle persone vorrebbe che le armi nucleari venissero rimosse dal nostro territorio. Noi sosteniamo che una guerra nucleare è una guerra che nessuno potrà mai vincere e che quindi ogni ordigno va rimosso. Tra Ghedi e Aviano dovrebbero esserci tra le 35 e le 40 testate che sono simboli terribili che rappresentano la possibilità di far finire l’umanità intera. Come dicono gli Hibakusha, armi nucleari e specie umana non possono convivere».
Nel 2023 spesi 91 miliardi di dollari per le armi nucleari
Il rapporto Surge: 2023 Global nuclear weapons spending di Ican (la Campagna internazionale per l’eliminazione delle armi nucleari) sulla spesa per le armi nucleari certifica che gli arsenali nel mondo si stanno nuovamente riempiendo di armi di distruzione di massa. La spesa cresce da quattro anni e i nove Paesi che possiedono armi nucleari hanno speso complessivamente 91 miliardi dollari nel 2023 – 2.898 dollari al secondo – e 10,7 miliardi in più rispetto all’anno precedente. Dal 2019 l’incremento della spesa per le armi nucleari è stato del 34 per cento: gli Stati Uniti spendono da soli 51,5 miliardi di dollari, seguiti da Cina (11,85 miliardi), Russia (8,3 miliardi), Gran Bretagna (poco più di 8 miliardi con un incremento di oltre il 17 per cento), Francia (oltre 6 miliardi), India (2,6 miliardi), Pakistan e Israele (oltre 1 miliardo di dollari), Corea del Nord (856 milioni).
Russia-Usa, minaccia atomica che sa di Guerra fredda
La militarizzazione dei discorsi si fa sempre più pericolosa. Domenica 28 luglio il presidente russo Vladimir Putin ha minacciato di riavviare la produzione di armi nucleari a raggio intermedio, se gli Stati Uniti confermeranno la loro intenzione di schierare missili in Germania o altrove in Europa, violando accordi sottoscritti nel 1987. Sarebbe un ritorno alla “guerra fredda” visto che quei missili, secondo Putin, possono raggiungere la Russia in 10 minuti. Qualche giorno prima, il 25 luglio, alla sua prima uscita pubblica dopo aver assunto l’incarico di capo di stato maggiore inglese, Roly Walker, ha dichiarato che «il Regno Unito deve essere pronto a combattere una guerra entro tre anni», indipendentemente da come finirà il conflitto in corso. La Russia potrebbe cercare di vendicarsi contro i Paesi che hanno sostenuto l’Ucraina.
L’appello di ex esponenti Nato: «Stop nucleare»
True security for Nato requires moving away from nuclear weapons (La vera sicurezza per la Nato richiede l’allontanamento dalle armi nucleari) è un documento che decine di militari hanno sottoscritto a partire dall’8 luglio in occasione del 75° anniversario della Nato. Con tale documento si chiede di rimuovere le armi nucleari in Italia, Belgio e Germania, dimostrando alla Russia che non intendono innalzare i rischi. Tra i firmatari non c’è nemmeno un italiano.
La mappa. In Italia ci sarebbero fino a 90 testate nucleari
Sono una delle eredità della Guerra fredda: le armi nucleari in Europa arrivano nel corso degli anni Cinquanta per “rassicurare” gli europei di fronte al rischio di un attacco sovietico. E si iniziò a parlare di deterrenza. Il loro numero crebbe almeno fino a fine anni Sessanta. Unione Sovietica, Stati Uniti e Regno Unito nel 1968 firmarono il Trattato di non proliferazione cui aderirono Cina e Francia nel 1992. Altra tappa fu il Trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio del 1987 tra Stati Uniti e Russia che contribuì a una fase di disarmo. Ma ancora nel 2016 nel mondo c’erano oltre 15 mila testate nucleari secondo il Fas (Federazione degli scienziati americani). Molte erano in via di smantellamento, ma ben 1.800 erano considerate pronte a essere lanciate con breve preavviso. La guerra tra Russia e Ucraina ha cambiato gli scenari, il linguaggio politico si è militarizzato e la spesa per gli armamenti anche nucleari ha trovato nuove motivazioni. Secondo il Council on Foreign Relations (un centro studi statunitense specializzato in politica estera e affari internazionali) oggi in Europa ci sono circa cento ordigni nucleari statunitensi in cinque Paesi europei: Belgio, Germania, Italia, Paesi Bassi e Turchia. Francia e Regno Unito possiedono armi nucleari proprie. Due le basi Nato – l’Alleanza atlantica nata nel 1949 e di cui l’Italia fu Paese fondatore – che ospitano armi nucleari nel nostro Paese: Aviano, in provincia di Pordenone, dove c’è un aeroporto militare italiano utilizzato anche dall’aeronautica statunitense, e Ghedi, in provincia di Brescia. Il numero delle testate non è ufficiale e, se aveva raggiunto probabilmente le 90 unità, oggi è calato: secondo alcune fonti le bombe nucleari in Italia sono una settantina, altri stimano siano tra 35 e 40 nelle due sedi. Aviano ha avuto e ha un ruolo strategico per la sua posizione geografica. Nelle due basi italiane per anni sono state stoccate le bombe B61-4 che vengono sganciate dagli aerei sugli obiettivi. Nel corso del 2023 probabilmente sono state in parte sostituite da nuove testate – le bombe B61-12 – che possono esplodere sotto la superficie terrestre aumentando la loro capacità distruttiva. Con una potenza regolabile da 0,3 a 50 kilotoni, queste bombe hanno una forza pari a 83 bombe usate a Hiroshima. Molto importante sono anche le due basi di Vicenza, la Caserma Ederle che dal 1965 ospita il comando americano della Setaf (per l’Europa meridionale) e la caserma Del Din, attiva dal 2014, dove è stata riunita la 173a brigata. A Vicenza non dovrebbero arrivare armi nucleari, ma sono previsti lavori di ampliamento per ospitare più militari e recentemente è stato alzato il livello di minaccia per un maggiore rischio attentati. Sempre nel Vicentino, a Longare, a partire da metà anni Cinquanta, era in funzione Site Pluto, anch’esso statunitense e utilizzato come deposito di munizioni nucleari. Dismessa nel 1992, ad aprile 2024 la caserma è stata intitolata a Matteo Miotto, soldato vicentino morto in Afghanistan nel 2010.
Vertice Nato, l’Ucraina vicina all’adesione
Il recente vertice della Nato a Washington si è concluso con l’ingresso dell’Ucraina nell’Alleanza Atlantica definita “irreversibile”, senza che si siano stabiliti tempi per l’adesione effettiva e sono stati stanziati altri 40 miliardi di dollari per sostenere il Paese nella guerra contro la Russia. All’Italia tocca un contributo di 3,4 miliardi di dollari entro il 2025. Il sostegno Nato non sembra in discussione, anche se ci sono timori per l’eventuale rielezione di Trump, ma appare chiaro che né Russia né Ucraina potranno vincere la guerra, a meno di non voler aumentare la tensione fino al punto di non ritorno.
L’Italia non ha ancora ratificato il trattato
Dal 22 gennaio 2021 è in vigore, dopo la ratifica di 59 Paesi, il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari: è il primo accordo legalmente vincolante che vieta lo sviluppo, la produzione, l’uso e la minaccia delle armi nucleari. L’Italia non ha partecipato a nessuna delle fasi di approvazione e ratifica del trattato.