Genomic prediction e la “selezione” degli individui: scienza o arroganza?
Chi ha stabilito, poi, che la sola probabilità (così come la certezza) di contrarre una malattia in età adulta sia un buon motivo per essere “scartati” dall’avventura della vita? Forse i “sani” hanno più diritti umani dei “difettosi”? E chi avrebbe il diritto di stabilire quale debba essere l’altezza considerata accettabile per un soggetto, oppure il grado di intelligenza che lo abilita alla prosecuzione della sua crescita? E con quali criteri di misura si dovrebbe effettuare questa valutazione? Nient’altro che riferimenti convenzionali, stabiliti da “chi ha voce in capitolo” (specifici ruoli? alte cariche? maggioranza?), che ricadono lesivamente sulla dignità e la vita stessa di altri soggetti inermi ed incapaci di reazione. Vogliamo davvero migliorare la specie umana?
“Genomic prediction”, è il nome di una start-up statunitense che si occupa di… “eugenetica 2.0”!
Beh, conoscevamo già il significato del termine “eugenetica”, con riferimento alla disciplina sorta verso fine Ottocento, avente come obiettivo (in prospettiva futura) il miglioramento della specie umana, da ottenere sulla base di considerazioni genetiche e con l’applicazione degli stessi metodi di selezione usati per animali e piante.
Adesso (anche se, in verità, aveva iniziato già da un paio d’anni), la Genomic prediction ne promuove una sorta di “upgrade”, tecnicamente più spinto e ambizioso, una versione “2.0” per l’appunto. D’accordo, ma per fare cosa? Con quali obiettivi concreti?
Stando a quanto riportato qualche giorno fa dalla rivista MIT Technology Review (edita dal Massachusetts Institute of Technology di Cambridge, negli Usa), la Genomic Prediction ha iniziato a diffondere sul mercato un nuovo test genetico, messo a punto nei suoi laboratori, che permetterebbe di individuare e selezionare fra diversi embrioni (ovviamente formati con tecniche di fecondazione in vitro) quello a minor rischio di alcune malattie; il test, inoltre, darebbe anche indicazioni sul grado d’intelligenza e sull’altezza probabilmente raggiungibili dal nuovo soggetto in età adulta.
In concreto, il test analizza il Dna dell’embrione confrontandolo con quello dei genitori, per generare un “punteggio” che indica la probabilità di contrarre 11 malattie (dal diabete ad alcuni tipi di tumore all’ipercolesterolemia).
Inoltre, esso sarebbe in grado di offrire una valutazione dell’altezza e del quoziente intellettivo probabili; dati che però vengono segnalati alle famiglie solo qualora l’embrione risultasse inferiore al secondo percentile, ovvero risultasse teoricamente così basso o poco intelligente da configurare una condizione patologica. Attualmente, questo tipo di analisi genetica può essere effettuata soltanto in 12 cliniche nel mondo (di cui 6 negli Usa). Non è invece permessa in Italia, dove la legge 40/2004 consente la diagnosi pre-impianto soltanto in presenza di malattie genetiche dei genitori.
A prescindere però dalla normativa vigente nei vari Paesi, la descrizione delle procedure di questo test e la loro finalità non lascia molti dubbi: più che di eugenetica, senza infingimenti, qui bisogna parlare di “eugenismo”! Ovvero di quella interpretazione estrema e strumentale dell’eugenetica, che non teme di assoggettare il singolo essere umano – sottoponendolo a valutazioni e misurazioni arbitrarie – ad un ipotetico “bene” della specie umana nel suo complesso. In parole più semplici, siamo di fronte ad un approccio di fatto orientato verso una vera e propria “selezione” degli individui (in questo caso, embrioni prodotti in vitro), alla luce di un pregiudizio aberrante: chi è ritenuto “biologicamente difettoso” o anche soltanto rischia di esserlo… non è degno di continuare a vivere e deve cedere il passo agli individui “sani”. Persino se il presunto “difetto” riguardasse caratteristiche secondarie, come una bassa statura o un’intelligenza ritenuta poco brillante. Insomma, sembra proprio che gli scenari fantascientifici già preconizzati nel film “Gattaca, la porta dell’universo” (1997) siano adesso divenuti realtà!
Ora, a prescindere dal fatto che buona parte della comunità scientifica ha già espresso seri e fondati dubbi sulla reale capacità del test di produrre informazioni affidabili, dal punto di vista etico siamo di fronte ad un vero e proprio atto di arroganza e di spregiudicata discriminazione, che attenta alla vita personale e, per di più, perpetrato su soggetti (embrioni) incapaci di esprimere qualunque volontà o opposizione.
E chi ha stabilito, poi, che la sola probabilità (così come la certezza) di contrarre una malattia in età adulta sia un buon motivo per essere “scartati” dall’avventura della vita? Forse i “sani” hanno più diritti umani dei “difettosi”? E chi avrebbe il diritto di stabilire quale debba essere l’altezza considerata accettabile per un soggetto, oppure il grado di intelligenza che lo abilita alla prosecuzione della sua crescita? E con quali criteri di misura si dovrebbe effettuare questa valutazione? Nient’altro che riferimenti convenzionali, stabiliti da “chi ha voce in capitolo” (specifici ruoli? alte cariche? maggioranza?), che ricadono lesivamente sulla dignità e la vita stessa di altri soggetti inermi ed incapaci di reazione.
Vogliamo davvero migliorare la specie umana? Forse dovremmo allora cominciare col rispettare, fin dal suo inizio vitale, ogni singola persona e la sua dignità, a prescindere dalle sue condizioni di salute o dalle sue caratteristiche bio-psichiche. E la scienza autentica dovrebbe continuare nel suo meritorio sforzo per contrastare ogni condizione patologica che provoca sofferenza negli esseri umani. Altro che “eugenetica 2.0”!