Felicità è condivisione. La rincorsa verso il successo e la “felicità” rischia di diventare vana se non si accompagna a crescita collettiva
Proprio a scuola si può fare una esperienza diversa: lavorare insieme, accogliere le diversità, accettare l’errore, concorrere ad obiettivi comuni.
Una riflessione comparsa qualche giorno fa sul “Corriere della sera”, a firma del sociologo Marco Magatti mette in rapporto stretto l’interesse individuale e la qualità dell’organizzazione sociale. E il bravo titolista del quotidiano ha riassunto il ragionamento articolato e ricco del sociologo in una frase chiara e provocante: “Noi non siamo atomi separati. La felicità non è ‘privata’”.
La questione è molto interessante soprattutto per chi si occupa di educazione – e di scuola – perché proprio l’ambito educativo (e in particolar modo quello scolastico, lì dove si incontrano e si confrontano culture differenti in modo strategicamente organizzato) è quello che deve e può farsi carico di promuovere il valore della comunità, intesa come qualcosa di più della somma degli interessi singoli. “Il desiderio – argomenta tra l’altro Magatti – è l’energia che muove il mondo. Ma non basta limitarsi a liberare questa energia. Ugualmente importante è riconoscersi parte di una comunità di destino, contribuendo al suo sviluppo e alla cura di ciò che ci circonda. Senza qualità istituzionale, culturale, sociale alla fine sono le stesse possibilità individuali a sfiorire”.
In buona sostanza, la rincorsa verso il proprio successo e la propria “felicità”, rischia di diventare vana se non si accompagna ad una crescita collettiva. Detto in altro modo, non posso stare bene da solo.
Magatti si appoggia ai risultati di due ricerche diverse, che pure approdano a risultati simili. La prima è il World Happiness Report, uno studio sul livello di felicità in 137 Paesi, la seconda è Rapporto sulla sussidiarietà 2023. Nel primo caso il Report riferisce – scrive Magatti – che un elevato livello di soddisfazione nasce “dall’incrocio tra un atteggiamento soggettivo positivo nei confronti dell’ambiente e un contesto ben organizzato, dove le regole sono chiare e valgono per tutti (a partire da un basso tasso di corruzione). La felicità non è un affare privato. Ma nasce dal modo in cui si costruisce il nesso tra il singolo e ciò che gli sta intorno”. Il Rapporto italiano, da par suo, arriva a concludere sull’importanza della “cultura della sussidiarietà” che, chiosa Magatti, “consiste nella capacità di sentirsi parte della comunità portando il proprio originale contributo al benessere collettivo”. Questa addirittura “riduce la mortalità evitabile, attenua il rischio di povertà e gli abbandoni scolastici, facilita la possibilità di trovare lavoro e di ricevere stipendi adeguati. Migliorando contemporaneamente la qualità della vita di chi si dà da fare e dell’intera comunità circostante”. La “ragione fondamentale” messa in evidenza dal sociologo è che “la partecipazione attiva sviluppa il capitale personale, relazionale, culturale, istituzionale di una comunità. E ciò non solo fa la differenza a livello collettivo – permettendo delle performance migliori – ma anche a livello individuale – garantendo un senso di realizzazione di sé altrimenti irraggiungibile”.
Davvero vale la pena di riflettere e di rilanciare l’impegno educativo. E’ spesso sotto gli occhi di tutti la situazione di una società dove prevalgono gli interessi di parte, la competizione individuale, la lotta per arrivare “primi” (e quante volte proprio questo viene incentivato nelle famiglie). Ebbene, proprio a scuola si può fare una esperienza diversa: lavorare insieme, accogliere le diversità, accettare l’errore, concorrere ad obiettivi comuni. Sono solo alcuni esempi, spesso sottovalutati. Ma una società migliore, fatta di individui più felici, nasce anche da qui. E’ una sfida appassionante.