Facebook. «La società connessa non ha alternative»
Massimo Mantellini, uno dei principali esperti italiani: «Siamo ormai tutti parte di un grande cervello, non abbiamo alternative a provare a farlo funzionare al meglio»
Siamo tutti Pollicini. Ogni volta che navighiamo sul web, lasciamo delle piccole briciole di dati sparse nel bosco digitale. Lo stesso vale per i social network: dal “mi piace” sotto a una foto, allo scherzoso scambio di battute con un amico. Noi non ci facciamo caso, ma la piattaforma su cui stiamo, raccoglie quelle briciole. Le impasta assieme e ne fa uscire un pane che dice qualcosa di noi. Quel pane, per quanto grezzo e posticcio, fa gola a chi vuole venderci qualcosa: da un prodotto a un’idea politica.
Massimo Mantellini è l’autore di Manteblog, uno dei più letti blog italiani. Da vent’anni si occupa di cultura digitale, politica delle reti e privacy e collabora con diverse testate giornalistiche, tra cui Il Sole 24 ore, L’Espresso e Il Post.
L’affaire Cambridge Analytica: ci spiega in parole semplici quello che è successo e se ci deve preoccupare?
«È successo che improvvisamente ci si è accorti che i nostri dati, che quotidianamente affidiamo a Facebook senza troppi patemi, possono essere utilizzati non solo per provare a venderci dei prodotti e dei servizi, ma anche per condizionare le nostre idee politiche. Il giorno in cui il marketing politico riuscirà a dimostrare di essere efficace come quello dei pannolini allora sì, ci sarà da preoccuparsi seriamente. Per ora non troppo, visto che non esiste una sola prova scientifica che questo sia realmente possibile».
Facebook utilizza i nostri dati e in cambio ci fornisce un servizio gratis. Ma il concetto della gratuità applicato al web ha fondamento? Forse, prima di scandalizzarci, dovremmo pensare a questo aspetto quando spuntiamo con leggerezza la voce “Accetto i termini d’uso…”?
«In realtà è forse un po’ più complicato di così. Facebook è una piattaforma che intermedia i nostri dati con soggetti terzi che sono interessati ad acquistarli. Al di là della raccomandazione a leggere i “Termini di servizio”, che comunque nessuno legge mai, il ruolo di Facebook diventa rilevante e sensibile nel momento in cui la piattaforma è diventata per molti cittadini del pianeta l’unica interfaccia relazionale e informativa utilizzata. È insomma oggi prevalentemente un tema antitrust, con discrete ricadute sugli assetti delle democrazie».
Dalle ingerenze della Russia nella campagna elettorale statunitense al voto referendario sulla Brexit: in futuro la partita della democrazia si giocherà sempre più sul terreno della propaganda via web e sul possesso dei profili degli elettori?
«Il percorso disegnato negli ultimi anni è esattamente questo. Anche se ritenere che sia stata una forza estranea a eleggere Donald Trump o a causare Brexit è tutto sommato una scorciatoia confortevole. Incolpare la tecnologia al posto di noi stessi è una comodità che utilizziamo spesso».
I social network, Facebook in particolare, sono terreno fertile per le bufale. Smontare le fake news è un lavoro che costa fatica. Sperare in un uso più consapevole degli strumenti informatici è un’utopia? Bisogna coltivare maggiormente la cultura digitale?
«Il pensiero superficiale e la nostra preferenza per le notizie eclatanti e false è molto chiara ma non è recente. La più grande fake news dell’ultimo secolo è quella delle armi di distruzione di massa di George Bush; e internet ancora non c’era. Serve cultura digitale ovviamente, specie da noi, e servirebbe una informazione meno supina agli esilissimi modelli economici attuali nei quali la notizia improbabile si vende molto meglio delle altre. Oggi i propagatori più efficaci di notizie false, anche in virtù della loro audience, sono spesso i media professionali».
Nel suo ultimo libro, Bassa Risoluzione (Einaudi), lei racconta come internet abbia profondamente cambiato il nostro rapporto con i mercati, l’informazione, la cultura. Lei che ha visto nascere la rete, che futuro s’immagina?
«Io vedo molti problemi, che sono diventati sempre più importanti nel momento in cui gran parte della popolazione ha cominciato a utilizzare le piattaforme di rete; e vedo anche grandissime difficoltà e alcuni seri pericoli. Ma non mi pare esistano alternative a quella di provare a dominare i tempi correnti. Non possiamo fare finta che non esistano, ma non possiamo nemmeno accettare che qualcuno possa decidere per noi. Come diceva anni fa Franco Carlini: dentro la società connessa siamo ormai tutti parte di un grande cervello, non abbiamo alternative a provare a farlo funzionare».