Essere missionari perché amati e innamorati
“Missionare” non è una scelta elettiva, una delega, un’opportunità, una convenzione o un ufficio. È la sorgente che irrora le radici, è la vocazione di chi è amato e può solo restituire amore. È il dono più prezioso dello Spirito, che ci rende idonei, capaci, pronti, prodighi, dedicati, offerti. Quando la missione di Cristo ha inizio nella nostra vita, noi non smettiamo più di essere missionari! E allora non ci sono più “giovani e anziani”, perché il Vangelo ringiovanisce il mondo e la Chiesa non invecchia, l’amore si effonde, la gioia si diffonde!
“Non abbiate paura”. Sono le ultime parole rivolte nella notte, a braccio, da Papa Francesco ai giovani convocati al Parque Tejo di Lisbona, a conclusione di un discorso missionario centrato sulla gioia.
“Non abbiate paura”. Furono le primissime parole di san Giovanni Paolo II, nell’omelia di inizio Pontificato (22.10.1978), con la quale Wojtyla chiedeva di “spalancare le porte a Cristo”.
Un grande, attraente, contagioso amore sta bussando nel cuore di tantissimi giovani, presenti a Lisbona o video collegati da tutto il mondo; bussa e, in realtà, trova porte aperte, perché l’amore di Cristo si è manifestato e la gioia cristiana si è accasata!
Ora, ripete il Santo Padre ai giovani, occorre dare “radici alla gioia” per divenire “radici di gioia” per il mondo. La gioia è sempre un effetto dell’amore (cf Gal 5, 22); ed è solo l’amore che ha radici in Cristo che vince ogni paura (cf 1 Gv 4, 18), che apre le porte al Suo ingresso, che rende la gioia “missionaria”, agibile, dinamica, in movimento nella storia.
L’amore rinnova la gioia, la rende giovane, la fa camminare, le dà gambe che fanno correre la fede, come è accaduto per Maria. Lo ha ricordato il Papa: la Madre di Gesù è interiormente spinta a servire la cugina Elisabetta non perché obbligata dal dovere familiare, ma perché un nuovo amore è stato suscitato in Lei da Dio e si fa urgente l’andare (ecco la “fretta”).
In fondo, Papa Francesco, con il suo appello “ad alzarsi e ad andare”, a rimettere “in cammino la gioia” riconduce i giovani e la Chiesa tutta al “cuore missionario” del suo Pontificato, al “documento programmatico” Evangelii Gaudium.
“Io sono una missione su questa terra” (cf EG 273), è il tema sfidante che ritorna. Essere missionari non perché reclutati, ma perché amati; non perché necessitati, ma perché innamorati. Lo scarto testimoniale, il discrimine autenticativo, lo fa proprio la gioia dell’amare; essa non può mentire: si vede, si sente se l’amore ha compiuto il suo originario e originale destino in noi, se la gioia del Vangelo consiste nell’avere o nel sapere Cristo, piuttosto che nel darLo e ridarLo al mondo.
Responsabilizzare i giovani a custodire la “gioia missionaria”, significa oggi suscitare nuovi evangelizzatori, che non fanno mistero del loro personale incontro con il solo “amore generativo” capace di andare davvero “alle radici” e di risolvere la crisi spirituale e antropologica con la quale i giovani si misurano: Lui, Gesù Maestro e Signore.
I giovani non vogliono disertare l’appuntamento con la storia; la stanno già scrivendo e chiedono di dare agibilità alla loro fede dentro famiglie e comunità accoglienti, non rigettanti, che li aiutino a stabilizzarsi, a radicarsi, ad aprirsi alla missione perché già aperti a Cristo.
“Missionare” non è una scelta elettiva, una delega, un’opportunità, una convenzione o un ufficio. È la sorgente che irrora le radici, è la vocazione di chi è amato e può solo restituire amore. È il dono più prezioso dello Spirito, che ci rende idonei, capaci, pronti, prodighi, dedicati, offerti.
Quando la missione di Cristo ha inizio nella nostra vita, noi non smettiamo più di essere missionari! E allora non ci sono più “giovani e anziani”, perché il Vangelo ringiovanisce il mondo e la Chiesa non invecchia, l’amore si effonde, la gioia si diffonde!