Dall’Ucraina all’Africa: il grano e le mosse di Mosca
La concorrenza di Mosca nel Continente nero non si è affatto attenuata con la guerra in Ucraina. Anzi.
Il golpe in Niger si aggiunge alla lista delle preoccupazioni che agitano i governi d’Occidente. Non si tratta solo del timore (anzitutto francese) di perdere un fornitore di uranio a buon mercato, tanto più necessario alle centrali nucleari nell’odierno frangente energetico. La deposizione di Bazoum, accusato dai militari di clientelismo prono agli ex colonialisti e di negligenze nella lotta al terrorismo jihadista che affligge il Paese, rischia di sottrarre un’ennesima pedina all’orbita di influenza occidentale. Con la prospettiva di vederla inglobata in quella russa che, attraverso la Wagner, tra il 2020 e il 2022, ha già supportato le iniziative golpiste in Mali, Sudan, Burkina Faso e Guinea.
La concorrenza di Mosca nel Continente nero non si è affatto attenuata con la guerra in Ucraina. Anzi, il Cremlino rilancia il rapporto privilegiato che cerca di stabilire accreditandosi come paladina del Sud globale contro le ipocrisie neocoloniali del Nord. Nel recente Forum economico e umanitario Russia-Africa, Putin, oltre a promuovere la dedollarizzazione degli scambi, l’istituzione di appositi circuiti per le transazioni interbancarie e le partnership tra università e centri di ricerca, ha offerto ai Paesi africani tra le 25 e le 50mila tonnellate di cereali russi – quest’anno in produzione record – a prezzo ribassato, addirittura gratis per quelli a rischio carestia come Zimbabwe (colpito dalle sanzioni Usa), Burkina Faso, Eritrea e la filoamericana Somalia. Con ciò ergendosi a vindice delle inottemperanze occidentali all’Accordo sui corridoi del grano ucraino siglato nel luglio 2022, per via delle quali solo il 3% dei carichi partiti dal Mar Nero ha raggiunto l’Africa.
Questa non è che una delle recriminazioni che ha portato il Cremlino a negare il rinnovo dell’Accordo. Mosca lamenta anche il mancato rispetto della sospensione degli interdetti sulle proprie esportazioni di fertilizzanti e di prodotti agroalimentari in genere (di fatto ostacolati bloccando i cargo russi negli scali marittimi europei), assieme alla mancata reintegrazione della Banca agricola russa nel sistema Swift, che pure il segretario Onu si era impegnato a ottenere.
Ancora il grano spiega i raid missilistici senza precedenti sferrati negli scorsi giorni sulle infrastrutture militari e portuali e sugli snodi ferroviari ucraini. Certamente si tratta della rappresaglia annunciata in risposta agli attacchi ucraini in Crimea. In particolare, l’inedito bersagliamento del complesso portuale di Odessa e di Nicolaev ha assunto una triplice funzione: colpire i centri di produzione di droni acquatici del tipo utilizzato per l’ultimo attacco al Ponte di Kerch; distruggere i depositi di armi e munizioni occidentali pervenute via mare sotto la copertura delle rotte mercantili; ma soprattutto compromettere la capacità di esportazione delle derrate ucraine.
L’obiettivo di isolare commercialmente l’Ucraina non si limita alle tratte marittime, visti i bersagli (porti fluviali e ponti) colpiti nell’entroterra. Per spiegare la mossa serve gettare lo sguardo sulle proteste degli agricoltori in Polonia, Bulgaria, Moldavia e Romania, in agitazione contro la concorrenza del grano ucraino commercializzato esentasse in Europa. Nel mentre, il clima viene surriscaldato dalle denunce di corruzione doganale per cui sovraquote di carichi via terra vengono immessi nel mercato nero dei Paesi frontalieri, procurando ulteriori danni al settore agricolo locale.
Ciò costituisce un problema politico soprattutto per Varsavia, in vista delle prossime elezioni legislative. I sondaggi rilevano il malumore presso segmenti sociali che contestano la coerenza tra le posture belligere dell’attuale leadership e gli effettivi interessi nazionali. In particolare il governo deve fare i conti con la base elettorale contadina, tradizionalmente importante nel Paese. Il malcontento affiora anche nel settore dei trasporti su gomma, che lamenta il crollo degli utili da quando il Cremlino, il mese scorso, ha revocato l’accordo che consentiva alle flotte di tir polacchi di entrare senza oneri in territorio russo per caricare le merci provenienti da est (particolarmente dalla Cina) destinate allo smistamento nel mercato europeo – funzione ora assegnata in esclusiva alla spola dei trasportatori bielorussi tra Russia e Polonia.
Facile dunque ritenere che la Russia, sulla scia di tali turbolenze, miri all’isolamento commerciale ucraino, incrementando un vantaggio strategico che pure si compendia sul piano militare, ove emergono risultati sempre più significativi. In polemica con le lamentele di Kiev (non condivise dall’ambasciatore Prystaico a Londra, per questo punito con la rimozione), il ministero della difesa britannico fa notare che le richieste di armi non equivalgono agli ordini Amazon: la risposta piccata non a caso segue i dati che vedono la produzione occidentale di munizioni d’artiglieria incapace di tenere il passo russo, stante il ridotto approvvigionamento di sostanze esplosive. Inoltre, mentre la guerra elettronica perfeziona la disattivazione dei lanciarazzi Himars e la teleguida delle bombe plananti ucroatlantiche, Mosca inaugura l’istallazione di una fabbrica capace di assemblare 500 droni al mese – che evidentemente non corrispondono ai 50 che il governo di Kiev, seguito da certa stampa europea, diceva residuare al nemico prima dell’inevitabile esaurimento.
Sul campo, l’esercito russo attende ancora di impiegare intere divisioni dislocate nelle retrovie. E nel settore nord del fronte non solo respinge le forze ucraine ma avanza di slancio, puntando ad alleggerire la controffensiva a sud prima che essa concentri le truppe per approfittare dall’attraversabilità dell’invaso svuotato della diga di Nova Kahovka. In attesa che le leadership maggiorenti si decidano per la via negoziale, il logoramento resta l’opzione dominante, riservando ancora guasti umanitari ed economici che, assieme alle fibrillazioni politiche, dall’Ucraina si riverberano su scala intercontinentale.
Giuseppe Casale*
*Pontificia università lateranense