Consulta e suicidio assistito: è tempo di un grande dibattito nazionale
Agonismo è una grande parola del cristianesimo primitivo, che Papa Francesco ci sta riproponendo, a tutto campo. Spendiamola con franchezza, come ci sprona a fare, proprio sulle frontiere della vita e dunque della morte, la sorella morte corporale, che della vita fa parte. Per questo l’umanità ha sempre rifiutato tanto il cosiddetto accanimento terapeutico, che il suicidio, che l’omicidio, che l’eutanasia. Punti semplici per una discussione aperta, senza apriori ideologici. Che possa venire in contro a tutte le situazioni, senza tuttavia metter in discussione i principi e valori fondamentali
Nessuna sorpresa dal palazzo della Consulta. La decisione sul caso Cappato è in continuità con l’ordinanza di un anno fa, si può immaginare a maggioranza: giustamente si è parlato di sentenza storica. Perché introduce l’eutanasia nel nostro ordinamento, sia pure per dosi iniziali, omeopatiche. Senza usare la parola.
La Consulta allarga il campo di applicazione della legge 219 del 2017, che non parlava della morte, che resta un tabù del nostro politicamente corretto, ma dispone sul “fine vita”. Così sarà possibile “agevolare l’esecuzione del proposito di suicidio”, ovvero praticare l’eutanasia, con le modalità della legge sul fine vita.
L’eutanasia percorre così un altro passettino. Ovvero si apre all’iniziativa stessa del malato, sia pure “libera e consapevole”. Eutanasia “light”, cioè leggera, perché si tratta di farla accettare all’opinione pubblica, legittimarla.
Perché ancora (meno male) la parola spaventa, la cosa è (giustamente) inaccettabile. Così le eccezioni, ovvero i casi limite, invece che confermare la regola, cominciano a modificarla. Si è partiti, nello specifico, dalla vicenda veramente tragica del Dj Fabo, che Marco Cappato ha utilizzato con grande abilità, muovendosi, con fermo rigore ideologico e consolidate modalità comunicative, attraverso i diversi strumenti giuridico – formali, all’auto-accusa che promuove un ricorso alla Consulta, fino alla sentenza.
Oltre la pietà che tutti noi non possiamo non sentire verso le situazioni limite c’è un’altra forma di legittimazione, la sostanziale coerenza della sentenza con quello che è, o viene percepito, come l’attuale mainstream, il pensiero dominante.
È l’assioma (falso) per cui qualsiasi limite alla libertà individuale è un retaggio autoritario ed oscurantista (per non dire clericale) da superare.
La Corte decide ma non può legiferare in positivo, per cui il comunicato ricorda che si pone “in attesa di un indispensabile intervento del legislatore”. Che, come possiamo facilmente immaginare, non avverrà, come non è avvenuto nell’anno trascorso dall’ordinanza 207.
Allora, senza ideologismi, sarebbe tempo di un grande dibattito, come si dice in Francia, “un grande dibattito nazionale”. Il bello della democrazia è che sì, esiste un robustissimo mainstream, un pensiero dominante, che oggi appare seducente, dolciastro, insinuante. Ma è altrettanto vero che questo è contendibile, richiama un atteggiamento sanamente agonistico, il gusto del confronto di idee.
Agonismo è una grande parola del cristianesimo primitivo, che Papa Francesco ci sta riproponendo, a tutto campo. Spendiamola con franchezza, come ci sprona a fare, proprio sulle frontiere della vita e dunque della morte, la sorella morte corporale, che della vita fa parte. Per questo l’umanità ha sempre rifiutato tanto il cosiddetto accanimento terapeutico, che il suicidio, che l’omicidio, che l’eutanasia. Punti semplici per una discussione aperta, senza apriori ideologici. Che possa venire in contro a tutte le situazioni, senza tuttavia metter in discussione i principi e valori fondamentali.