Cambiare, ma con attenzione. La sfida delle riforme istituzionali
Le riforme della Costituzione richiedono una riflessione lungimirante e tempi adeguati.
Un Parlamento eletto legittimamente, sia nella forma che nella sostanza (perché purtroppo il mondo è pieno di elezioni solo in apparenza democratiche), ha i titoli per effettuare tutte le operazioni che la Costituzione prevede, sempre nei limiti e secondo le procedure che la stessa Carta stabilisce. Quindi può senza dubbio approvare leggi costituzionali e di revisione costituzionale. Questo vale anche per il Parlamento attuale, eletto con una partecipazione al voto bassa come non si era mai vista, circa il 64%. Dopo di che sarebbe intellettualmente disonesto non tenere conto di questo dato di fondo, nel momento in cui si intende mettere mano a riforme della Costituzione – che è un patrimonio di tutti gli italiani, anche di quelli che non sono andati alle urne – così profonde da investire la stessa forma di governo, almeno nelle intenzioni della maggioranza e in parte di altri soggetti. Analoga riflessione – e in misura ancor più stringente – vale per il mandato che la maggioranza avrebbe avuto dai cittadini per realizzare le riforme istituzionali previste nel programma elettorale della coalizione vincente. E’ bene ricordare, infatti, che si tratta infatti di una maggioranza parlamentare, resa possibile dalla traduzione dei voti in seggi in base a un sistema elettorale con una robusta componente maggioritaria. Tutto assolutamente legittimo, ci mancherebbe. Se però guardiamo ai numeri, su 50,8 milioni di aventi diritto al voto, si sono espressi per il centro-destra 12,5 milioni di elettori. Uno su quattro. Nulla da eccepire sul diritto a governare – stante la normativa in vigore – ma quando si passa alla definizione delle regole della casa comune non si può politicamente prescindere da questi dati.
Il primo passo compiuto dal governo incontrando, persino con una certa solennità, le delegazioni delle opposizioni, va nella direzione giusta. Purché resti chiaro che riformare la Costituzione non è affare di governi, di maggioranze e di opposizioni, ma riguarda l’intero Parlamento in quanto luogo della rappresentanza dei cittadini. Del resto, se le opposizioni sono platealmente divise non solo su questo terreno, anche nella coalizione che sostiene l’esecutivo non mancano i distinguo. La Lega, per esempio, a fronte delle aperture di Giorgia Meloni sul premierato si è affrettata a ricordare che nel programma elettorale della coalizione c’è l’elezione diretta del Presidente della Repubblica e non altre tipologie. Sullo sfondo c’è il nodo del rapporto tra gli interventi sulla forma di governo e il percorso dell’autonomia differenziata delle Regioni, che la Lega vorrebbe accelerare al massimo mentre per la premier dev’essere strettamente associata alle altre modifiche.
Ma allo stato dell’arte è del tutto prematuro soffermarsi sulle soluzioni specifiche. Le riforme della Costituzione richiedono una riflessione lungimirante e tempi adeguati. Almeno in quest’ambito sarebbe auspicabile che si riponessero le bandiere ideologiche e si individuassero con lucidità i problemi che richiedono una revisione di alcune norme della Carta per migliorare il funzionamento della nostra democrazia. E’ di questo che il Parlamento e le forze politiche devono occuparsi. Non siamo all’Anno Zero, non c’è da fondare un’altra Repubblica.