Arriva il Pnrr. Arrivano i fondi, che si può e/o deve fare con quei soldi?
È chiaro anzitutto cosa non si potrà fare: spenderli come vogliamo.
Mario Draghi, salutando la compagnia, ha ribadito: sul Piano nazionale di ripresa e resilienza – l’ormai famoso Pnrr – l’Italia sta facendo i compiti assegnati dall’Ue. Raccomandandosi che chi gli succederà sia altrettanto solerte: in ballo c’è un container pieno di miliardi di euro, datici un po’ a fondo perduto, molti in prestito a tasso d’interesse estremamente basso.
Diciamo che la parte iniziale dei compiti da fare a casa era composta da una serie di provvedimenti legislativi e amministrativi propedeutici a spendere poi concretamente tale montagna di soldi. Che ci sono stati dati con un obiettivo ben preciso: risollevarci dalla pandemia e, soprattutto, strutturarci per affrontare questo XXI secolo con il vestito giusto.
Qui si arriva al nocciolo: che si può e/o deve fare con quei soldi?
È chiaro anzitutto cosa non si potrà fare: spenderli come vogliamo, ad esempio per incrementare la spesa pensionistica o per fare il ponte sullo Stretto (in questo caso, per mancanza del tempo necessario). Poi, idee e progetti non mancano né dovrebbero mancare in un Paese che soffre da decenni di scarsi investimenti pubblici.
Quindi: nuove o rinnovate infrastrutture, da quelle digitali alle classiche (soprattutto mobilità pubblica), con un occhio di riguardo a Mezzogiorno e dorsale adriatica. Spinta decisiva alla transizione energetica: se gli idrocarburi sono il passato, cosa sarà il futuro? E tutte le reti di accumulo e distribuzione? Siamo messi discretamente sulla produzione di energia alternativa; sul resto siano fermi al palo.
Il vivere civile chiede infrastrutture più vicine allo sbarco su Marte che all’epoca borbonica: quindi ospedali e assistenza anziani; quindi scuole e università adeguate; quindi pubblica amministrazione che, da burocrazia statica e ottocentesca, si trasformi in volàno di sviluppo. Quindi reti idriche che non facciano ridere come le attuali, e raccolta rifiuti che s’inserisca più nell’economia circolare del recupero, che nelle discariche a cielo aperto.
Poi altre cose che, a leggerle, danno più l’idea di un libro dei sogni che a qualcosa di reale per un Paese che, cronicamente, non riesce a spendere i fondi europei assegnati. Non a caso, quando è stata l’ora di chiedere progetti fattibili e cantierabili alle amministrazioni locali, c’è stato chi ne ha sfornati di belli pronti, e chi si è visto respingere 31 “progetti” su 31. E, nel giro dell’oca, si torna indietro a quella pubblica amministrazione (e a una classe politica) che va zigzagando a velocità del calesse mentre il mondo sfreccia ad alta velocità.