A senso unico. L'eterna querelle tra libero scambio e dazi, invocati dalla parte cui conviene
Quando si parla di dazi la verità è che spesso il mercato libero lo si vuole ad un'unica direzione: quella che conviene.
Sulla questione dei dazi sono state spese molte parole – e fatti molti giochi di parole. A questi vorremmo aggiungerne uno nostro: chi di dazi ferisce… Perché la situazione appare alquanto schizofrenica: così pronti a inalberarci quando questi balzelli toccano le nostre merci; così pronti a inalberarci quando c’è da difendere le nostre merci da quelle altrui, e allora i dazi s’invocano.
Ci vogliono esempi: per lunghissimo tempo certi prodotti agricoli africani hanno trovato i muri ad accoglierli quando hanno cercato di entrare nel mercato europeo, il più ricco e il più vicino. Questo per proteggere le nostre colture, che spesso hanno costi non paragonabili con quelli africani: quindi le sussidiamo pesantemente per bloccare la concorrenza. Libero scambio ma a condizioni diseguali?
O vogliamo ricordare dei recenti dazi che l’Italia ha preteso nei confronti del riso proveniente dal sud est asiatico? Le motivazioni sono nobili (condizioni del lavoro non paragonabili, probabile utilizzo di fitofarmaci qui proibiti, ecc…) e le barriere doganali hanno contribuito quantomeno a non distruggere la risicoltura nostrana, la più avanzata d’Europa.
Ma i dazi sono “buoni” solo quando s’impongono. Quando c’è da tenere fuori dal castello le merci sgradite. Ma quando siamo noi ad assaltare il castello altrui? Quando sono i nostri splendidi prodotti agroalimentari che cercano spazio nei mercati stranieri?
Ecco che insorgiamo contro la decisione del presidente americano Donald Trump di applicare dazi (c’erano già, al 15%: li porterà al 40) nei confronti di una vasta gamma di prodotti, tra i quali i pregiati prosciutti e formaggi italiani (ma non solo). Ciò in ritorsione per il fatto che noi europei finanziamo il nostro settore aeronautico ostacolando quello americano.
Come si vede, le pagliuzze negli occhi abbondano. E ci secca tremendamente che i canadesi fingano di aprire ai nostri prodotti agroalimentari, salvo poi impastoiarli in stretture burocratiche che favoriscono il prodotto locale piuttosto che il nostro. Valà? E noi non stiamo cercando in tutti i modi di tutelare la nostra produzione di grano duro a spese di quelli (pregiati) canadesi e ucraini?
Il fatto è che il mercato libero spesso lo vogliamo in un’unica direzione. E il discutibile Donald Trump ha comunque urlato che il re è nudo: che le merci cinesi arrivano in Occidente sul tappeto rosso (le ordiniamo noi approfittando dei costi di produzione più bassi), mentre le nostre – una volta arrivate a Pechino e dintorni – trovano un terreno molto minato. Siccome arrabbiarsi conviene agli americani e non certo ai cinesi, ha innescato una guerra che ora rischia di far saltare equilibri spesso ingiusti, ma appunto equilibri. E d’ora in poi del doman non v’è certezza.