A proposito del Salone del Libro di Torino
Dal Salone del Libro di Torino ai fatti amari e tristi di ieri e di oggi
In un dibattito televisivo sulla vicenda di uno stand dall’amaro sapore nazifascista al Salone del Libro di Torino c’è chi ha affermato che non era il caso di fare rumore per una pur ambigua presenza visto che l’area che la stessa occupava era di “pochi metri quadri”: un’inezia rispetto alla superficie del Salone.
Ha sorpreso non poco questo giudizio considerando anche il luogo prettamente culturale in cui lo stand si collocava. Quanti di questi “pochi metri quadri” sono diventati – e ancora ora diventano – nella storia dell’uomo, innumerevoli chilometri quadrati coperti da macerie non solo materiali e bagnati dal sangue di innocenti?
Si può forse misurare con il metro del geometra una questione che tocca e interroga la coscienza?
Non c’è il rischio di minimizzare, se non banalizzare, la portata di gesti e di parole apparentemente innocue? Non c’è il rischio di stimolare e giustificare un assopimento del pensiero per trovarsi poi a un brusco e triste risveglio?
Di “pochi metri quadri” ce ne sono molti nel nostro Paese come comprovano fatti accaduti in queste settimane a Roma, Napoli, Torino.
Poi, dal piccolo spazio rimosso dal Salone del libro è partito l’allarme sul venir meno della libertà di pensiero, di opinione, di stampa.
Non c’è dubbio alcuno: la libertà è da difendere sempre, ovunque e per ogni persona. Tutte le espressioni del pensiero devono poter essere pubblicamente manifestate.
Qualcuno tuttavia si è chiesto se tra queste espressioni del pensiero ci può stare il grido di chi, irresponsabilmente, in una piazza gremita di persone urla: “C’è una bomba, c’è un bomba”. Un esempio tra gli altri per dire che ci deve essere un limite non imposto da una censura autoritaria ma stabilito e condiviso da una società civile e democratica.
Qualcuno si è chiesto allora se la libertà di pensiero può essere anche inneggiare a forme di autoritarismo e negare i campi di sterminio, le leggi razziali, i gulag.
Chiarezza dunque va fatta. La domanda dovrebbe scuotere ancor più gli intellettuali che al Salone del Libro non hanno preso la parola al momento giusto lasciando il compito della denuncia e della ribellione ad Halina Birenbaum, una donna scampata al campo di sterminio dove in “pochi metri quadri” si soffriva e si moriva sotto i colpi dell’odio.
“I ragazzi devono conoscere la storia per tenere testa a chi la nega”, ha detto Halina Birenbaum.
Conoscere la storia per non condividere il male che l’ha sfigurata. Che qualcuno cerchi d’intralciare questa ricerca e questo discernimento è innegabile ma è confortante vedere che sono per primi i giovani a opporsi al metro del geometra con il quale si misurano le superfici visibili di una casa o di un salone ma non quelle invisibili e infinite della coscienza.
Paolo Bustaffa