5 pilastri da fondare. Dalle proteste degli studenti giuste rivendicazioni, ma da qualche parte bisogna partire
Il problema è decidere quali sono i primi passi da intraprendere, il punto da cui partire perché evidentemente tutto insieme e contemporaneamente non si può fare.
“Una legge nazionale sul diritto allo studio, la sostituzione dei Pcto (che sarebbero sostanzialmente i percorsi di alternanza scuola-lavoro, ndr) con l’istruzione integrata, salute e sicurezza per un edilizia sicura ed educante e per la garanzia del benessere psicologico, maggiore rappresentanza studentesca e la riforma dello statuto perché maggiori diritti siano garantiti”.
Sono questi i “cinque pilastri” che gli studenti intendono porre a fondamento delle loro proteste, sfociate nei giorni scorsi in manifestazioni che hanno coinvolto diverse piazze italiane. Proteste intese a rivendicare – come ha riferito la rete degli studenti – “il diritto allo studio e ogni diritto conquistato fino ad ora”. E nelle dichiarazioni riportate dai media si spiega: “Vogliamo investimenti sul diritto allo studio, non riflessioni su un merito che non esiste. Non ci può essere merito in una scuola che non dà a tutti gli stessi strumenti e le stesse possibilità. Vogliamo giustizia ambientale, lavoro stabile e retribuito, salute mentale”.
Anche da parte sindacale e in particolare dalla Cgil sono venuti sostegni alle manifestazioni degli studenti, con una serie di articolate richieste: ”E’ prioritario – per il sindacato – che nelle prossime settimane, con la legge di bilancio, e nei prossimi mesi, con la realizzazione di quanto previsto dal Pnrr, siano condivise e assunte le scelte strategiche per rafforzare il sistema di istruzione e formazione” Questo dovrebbe significare: “investimenti e interventi finalizzati innanzitutto ad aumentare il tempo scuola (pieno e prolungato), estendere l’obbligo scolastico a 18 anni, rivedere radicalmente il rapporto tra istruzione e lavoro, garantire in tutto il Paese lo sviluppo del sistema nazionale universitario superando l’attuale logica competitiva fra atenei e sostenere il libero accesso alla formazione superiore e il diritto allo studio anche con la drastica riduzione delle tasse universitarie, garantire lo sviluppo del sistema pubblico della ricerca, riconoscere la formazione continua e la formazione permanente come diritto soggettivo e universale, contro ogni ipotesi di differenziazione regionale”.
Di tutto un po’. E in effetti chi può dissentire dalla richiesta sostanziale di rimettere al centro il sistema di istruzione e la formazione nel Paese? Il problema, semmai, è quello di decidere quali sono i primi passi da intraprendere, il punto da cui partire perché evidentemente tutto insieme e contemporaneamente non si può fare. Lasciando poi da parte alcuni toni che sembrano solo propagandistici.
E qui occorre proprio stare a vedere quali saranno le mosse del Governo che per bocca del ministro Valditara ha già dichiarato di voler puntare sulla scuola senza equivoci. Anche il 17 novembre, in occasione della Giornata degli studenti, ricordando tra l’altro la repressione nazista contro le proteste studentesche a Praga nel 1939, ha sostenuto come sia importante “difendere ogni giorno il diritto allo studio e costruire tutti insieme una scuola sempre più attenta alle esigenze, alle inclinazioni e ai progetti di vita di ciascuno studente, perché la scuola sia sempre di più il luogo per eccellenza di realizzazione della persona umana”.
E ancora di fronte alle manifestazioni studentesche dei giorni scorsi ha ribadito l’importanza del dialogo nel progetto di “Grande alleanza per la scuola e per il merito”, dialogo anche con le rappresentanze studentesche.
Su questo bisognerà misurarsi. E vigilare. Dando il tempo al Ministero di articolare le proprie enunciazioni in atteggiamenti e disposizioni concrete. Senza sconti.