Se muoiono i negozi, muoiono paesi e città
I numeri sono impietosi, in Veneto come in ogni angolo d’Italia. Ma dietro ogni serranda che si abbassa per sempre c’è una ferita alla vita sociale che non sarà più rimarginata. Men che mai da internet...
Non è un caso se il termine “emoragia” viene usato per descrivere la chiusura di centinaia di piccoli negozi su tutto il territorio nazionale. Chiaro cosa succede a un corpo umano colpito da emoragia. L’Osservatorio di Confesercenti Padova, ad agosto dell’anno scorso, indicava come oltre il 5 per cento (uno ogni 20) dei negozi di vicinato avrebbe chiuso i battenti entro la fine del 2019, arrivando a un saldo negativo di oltre 500 negozi negli ultimi 6 anni con la chiusura complessiva di oltre 2.500 esercizi.
Il “piccolo sotto casa” sta morendo?
Di sicuro è in via di estinzione, e per capirlo basta fare quattro chiacchiere con qualsiasi commerciante. Ciò che sta cambiando è l’aspetto stesso delle nostre città e della nostra socialità. Se con l’epopea dei supermercati e degli ipermercati abbiamo svuotato i centri storici per riversarci in capannoni periferici pieni di ogni ben di dio, oggi assistiamo a una nuova trasformazione epocale. Il consumo abbandona la dimensione della relazione diretta per diventare una pratica eterea, guidata da un clic sulla tastiera di un computer o uno smartphone.
Ma se l’Italia perde le botteghe, noi perdiamo l’Italia per come la conosciamo. Se le nostre città perdono i centri storici, non restano che enormi sobborghi residenziali. Se noi perdiamo le nostre relazioni di vicinato, non restiamo che individui consumatori. La cosa “buffa” è che la politica stenta a riconoscere questa epocale trasformazione, come se la loro Italia fosse un’altra! La nostra invece è quella delle serrande sempre più chiuse e dei paesi sempre più morti, dove ci si sente sempre più alieni in un mondo fatto da “iper-super-mega-store”. Se c’è stato un “Addio alle armi” e un “Addio ai monti”, questo è sempre più un “Addio ai commercianti”.