«È dal di dentro che sento la voce potente di Dio»
Due lettere ci aiutano a riflettere sul nostro esserci, sulla questione della sofferenza e sul nostro destino.
A conclusione dei nostri appuntamenti mensili, vi propongo due lettere dense di vissuti profondissimi, che possono riflettere i due atteggiamenti fondamentali di fronte al mistero della vita stessa: il nostro esserci, la questione della sofferenza, il nostro destino. Due modi di vedere il tutto: come un “absurdum”, o come una imperiosa domanda di senso.
La prima lettera porta la firma di Jean Guitton – pensatore cattolico francese del ’900 – ed è indirizzata a un amico “disperato”. In essa scorgiamo un’abissalità che ci impaurisce, ma dalla quale non dobbiamo ritenerci immuni. Eccone alcuni stralci: «Caro amico, mi hai detto che avevi intenzione di porre fine ai tuoi giorni... ti ho creduto senza crederti, ma il cuore mi è balzato nel petto... Ti ho chiesto le ragioni per cui vorresti abbandonare questo mondo. Mi hai detto che la vita umana era un regalo avvelenato. Che i tuoi genitori ti avevano inflitto un fardello senza chiedertene il perché. Che ti avevano quindi condannato a vivere nell’orrenda prigione che viene chiamata esistenza, in cui i mali son ben superiori al bene e in cui le disgrazie sono superiori alla gioia, come hanno proclamato i saggi, da Giobbe a Nietzsche e a Cioran. Mi hai detto di aver perso la fede della tua infanzia, insegnata dai tuoi genitori, contestata dai tuoi maestri. E che allora l’esistenza, vuota di Speranza, ti sembrava buia e senza scopo». Guitton ascolta l’amico con rispetto e sa benissimo di essere di fronte “al problema dei problemi”, ossia a quello del significato della vita umana. Nel prosieguo della lettera, si percepisce che nessuno ha “la” risposta decisiva alla questione.
Ma, a mio avviso, l’autore cerca di indicare all’amico un orizzonte di senso, nel momento in cui legge il “mistero” nella prospettiva della fede e della speranza. Solo allora il muto e minaccioso “enigma”, il “problema” senza soluzione, diventa un “mistero” benevolo, da contemplare anziché da risolvere.
Il controcanto a questa lettera così coinvolgente, ci viene da un’altra lettera, una riflessione poetica di un detenuto anonimo che, nell’umiliazione del suo stato, compie un itinerario di maturazione, riscoprendosi affamato di Dio, pellegrino dell’Assoluto.
Anche di questa ecco alcuni tratti salienti: «In un momento di verità, ho capito chi sono: io sono il vuoto. La mia vita è desiderio, ricerca, è attesa, è il vuoto. Vuoto di felicità. Il mosaico dei pezzetti di gioia che la vita mi regala, è sempre incompleto: manca sempre una tessera al volto della felicità. Intanto affannosamente io cerco, mentre ho i brividi per la febbre di un amore eterno. Io voglio una felicità, ma eterna, senza fine, senza noia: il tutto io cerco. I profeti della terra mi deridono in questa sete di verità, mi rispondono: sciocco, godi il momento, esiste Dio, ne sei sicuro?
È una sfida, lo so. Accetto e rispondo: amico, guarda per un momento il mondo, come me.
Se l’uccello ha le ali, deve esistere un cielo per lui; se l’anatra ha l’istinto di nuotare, come potrebbe se non ci fosse l’acqua per lei? Tu hai un occhio impressionabile alla luce? Deve esistere. Deve.
Se no, tutto è assurdo. Possibile, amico mio, che solo a te, solo a me, mancherà ciò per cui sentiamo di esistere? Possibile che solo a noi mancherà la Luce per la caverna insaziabile della nostra anima? Solo per noi la legge della vita si dovrebbe infrangere in una delusione peccaminosa? Sì, peccaminosa! Perché sarebbe il più grande peccato – il peccato dell’assurdo – dell’esistenza di un uomo fatto per l’infinito, se l’infinito non esistesse».
E così conclude, con un anelito che ricorda sant’Agostino: «Ascoltami amico: è il mio cuore che mi parla di Dio, è dal di dentro che sento la voce potente: Dio c’è! Dio esiste, perché di Dio ho bisogno. Il mio cuore lo aspetta, dunque Dio esiste».
Consigli di lettura:
J. Guitton, Lettere aperte, Mondadori;
S. Palumbieri, La nona sinfonia di Dio, Effatà.
Monica Cornali