Tolleranza? Da sola non basta
Per vivere insieme serve il coraggio di intrecciare un destino comune
Lezione di Cittadinanza e Costituzione. Il tema da proporre in classe è “la possibile convivenza in una società multietnica”. Sembra un argomento interessante da affrontare, dopo le vacanze natalizie, con i ragazzi: aiutarli ad aprirsi a un processo che caratterizzerà sempre più il nostro futuro. Ma subito mi accorgo che le parole, che sto utilizzando per preparare l’introduzione all’argomento, chiedono una continua riformulazione. Passando in rassegna i volti della classe, sento un’interiore mano alzata che mi chiede una scelta più mirata delle parole, per meglio aderire alla realtà.
“Futuro” è la prima parola a scricchiolare. In classe sono già presenti sette etnie differenti: studenti che hanno uno o entrambi i genitori di origine straniera. C’è bisogno del planisfero per fare il quadro delle provenienze, perché si va dal Kenya alla Russia, dalla Cina al Marocco facendo sosta in Romania, Albania, Algeria. Prima di fare una previsione per il domani, è bene riconoscere questa presenza nell’oggi, da leggere attentamente e accogliere.
E subito anche la parola “accoglienza” presenta la necessità d’essere rivista, per il semplice fatto che non sempre c’è un “noi” e un “loro”. Ogni mattina questi ragazzi entrano in aula non “come gli altri”, ma perché “non sono altri”. Sono nati qui, in un paese che sentono loro: non si sentono ospiti, più o meno accolti, per le loro origini straniere. Non è bene continuare a fare confusione tra cittadinanza ed etnia. Le leggi razziali del 1938 ci siano da monito: da un giorno all’altro migliaia di cittadini italiani si ritrovarono esclusi e perseguitati, solo per le loro radici ebraiche.
Il discorso potrebbe continuare e, come in un domino, altri termini cominciano a vacillare. Forse è bene riscrivere la lezione e presentarsi in classe con una semplice domanda: come riuscite a vivere tutti insieme in classe, metà della vostra giornata, in relativa armonia? Quale segreto ci sta comunicando questa nuova generazione di veneti italiani?
Lo vorrei chiedere a Giovanna, che si è commossa nell’imparare Addio monti di Manzoni, perché le è bastato sostituire all’Adda il mar Adriatico e ha risentito il racconto di sua mamma albanese, che in una notte di 27 anni fa ha dovuto prendere una nave al volo, senza valigie né documenti.
Un segreto nascosto nei gorgheggi di Francesco, che sta lavorando sodo per non confondere la “r” con la “l”: da poco canta nel coro della scuola e ha ereditato dai nonni cinesi la passione per la musica lirica italiana. E certo non la smette di imbarazzare il suo docente d’italiano, il quale non sa come dirgli che lui non ricorda a memoria i versi delle opere di Puccini.
Forse questi ragazzi, insieme ai loro compagni, ci stanno indicando la via per edificare una società conviviale, che si oppone alle divisioni e ai pregiudizi, ma sa anche andare oltre la mera tolleranza. Oggi siamo chiamati a convivere con gli altri e lo possiamo fare solo se abbiamo il coraggio di intrecciare insieme un destino comune. La convivenza tra differenti, a scanso di equivoci, non è un processo spontaneo né indolore: chiede di abbattere i muri e costruire i ponti; chiama a cercare insieme una narrazione comune che ci comprenda e ci superi. Ma, paradossalmente, la stessa via non facile della condivisione aiuta anche a riscoprire i tesori dimenticati del patrimonio culturale e spirituale, a togliere loro lo stantio velo dell’ovvietà e a raccontarli con parole nuove, facendo risplendere la loro universale bellezza.