Viviamo la fraternità nella Chiesa e sarà profetica nella società
Chiese & chiose. La fraternità è un "tema" che fa guardare alla vita con occhio buono e cuore largo. È un traguardo, però, su cui lavorare ogni giorno
Mi piace iniziare il nuovo anno parlando di un tema caro e costruttivo, la fraternità. Senza bisogno, almeno una volta, di episodi e situazioni imbarazzanti o deprimenti, il tema – meglio, l’esperienza – della fraternità è di quelli che fanno guardare alla vita con occhio buono e cuore largo; e da solo “parla”, incoraggia, testimonia.
Il termine fratelli/sorelle riguarda tre ambiti: i legami di sangue, la vita cristiana, la concezione antropologica dell’umanità. Il significato primario parte dalla realtà familiare (e quante volte ho ringraziato Dio per i miei fratelli!), comune a ogni latitudine, in tutte le epoche. Oggi la famiglia vive situazioni e “ricomposizioni” nuove, che allargano e modificano le relazioni, a volte attraversando fasi pesanti di rottura; di positivo, c'è la scomparsa dei termini deteriori fratellastro e sorellastra.
Per i cristiani, fin da san Paolo, fratello/sorella è chi condivide l’appartenenza di fede e una vita, più o meno strutturata, di comunità: dalla generica vita di parrocchia alle comunità religiose a forte carica spirituale e precisa codificazione normativa. «Voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8) è parola chiara di Gesù.
La visione cristiana ha introdotto nella visione del mondo la nozione di fratellanza, allargandola a tutta l’umanità, a ogni uomo e donna: la fraternité della rivoluzione francese, al di là della rivendicata laicità e dei tremendi esiti del Terrore, ha radici culturali cristiane. L’articolo 1 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo (10 dicembre 1948) riconosce esplicitamente: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza».
Non ci vuole molto per rilevare che, a qualsiasi livello, si tratta di un traguardo mai garantito, da realizzare ogni volta di nuovo, sempre minacciato da rischi: dai litigi tra fratelli per i soldi alle disuguaglianze mondiali, dalle contese in ambienti religiosi alla crisi economico-finanziaria che ha mosso guerre tra poveri, al terrorismo… ce ne sarebbe da scrivere.
Noi cristiani cosa possiamo offrire oggi? Intanto rammento il lungo percorso del magistero pontificio solo annotando che il tema era già nella Giornata mondiale della pace 1971 indetta da Paolo VI: “Ogni uomo è mio fratello”; e papa Francesco per la sua prima Giornata mondiale indicò “Fraternità, fondamento e via per la pace”; l’enciclica Laudato si’ parla anche di “fraternità universale”. E quante volte torna il richiamo a parole come giustizia, spirito di comunità, responsabilità dell’uno verso l’altro, cooperazione, mutuo soccorso… Dobbiamo riconoscere però che, pur essendo un’unica Chiesa in un unico mondo, fatichiamo a condividere pienamente risorse naturali e beni ambientali, progressi scientifici e patrimoni culturali, cibo e medicine... Sappiamo di essere fratelli e sorelle, perché figli dello stesso Padre, riteniamo figli dell’unico Dio anche i non cristiani, e tuttavia non riusciamo a completare il passo della fraternità nei fatti.
Se le prospettive mondiali imbarazzano e, poco o tanto, spaventano (per esempio nell’abbinare straniero e fratello), resta basilare il livello delle relazioni quotidiane: la “rivoluzione della tenerezza”, che papa Francesco raccomanda, inizia dove viviamo ogni giorno, coinvolge le persone più vicine (famiglia, ambienti di vita…), tende ad allargarsi a chi è fragile o debole, i poveri e gli esclusi. Soltanto se si cerca di viverla in modo credibile dentro la Chiesa, la fraternità può venire riconosciuta presente nello spazio della società e recepita come proposta profetica del cristianesimo. Pensiamo alla vita concreta delle famiglie e delle comunità (parrocchiali e non), delle parrocchie in unità pastorale, alle re(l)azioni dentro la Chiesa quando si parla di soldi e di progetti missionari, o… quando viene trasferito un parroco.
Tertulliano testimonia che i primi cristiani prendevano le parole di Gesù così sul serio che i pagani ammirati esclamavano: «Guardate come si amano!» (Apolog. 39). I non credenti potrebbero dirlo dei cattolici del 2019?