Una via sicura dall'Africa: viaggio tra i profughi che arriveranno in Italia
Sono 74 i beneficiari del nuovo corridoio umanitario organizzato da Caritas italiana, in coordinamento con Unhcr e fondazione Ghandi. Tra loro studenti, famiglie, donne sole con bambini. L’arrivo previsto all’alba di venerdì. Redattore Sociale segue l’iniziativa con un inviato sul posto
ADDIS ABEBA - Venerdì per la prima volta in 25 anni Mehari potrà recarsi in aeroporto, prendere un aereo e arrivare nel paese che ha sognato sui libri fin da quando era bambino, alla scuola Italiana di Asmara. “Non so spiegare l’emozione”, dice seduto nel cortile del Rideat pension, un piccolo residence ad Haya Hulet, la parte nord est di Addis Abeba, dove una compagnia cinese sta costruendo il nuovo stadio di calcio. Insieme a lui ci sono alcuni dei 74 beneficiari del nuovo corridoio umanitario dal Corno d’Africa verso l’Italia, organizzato da Caritas italiana, in coordinamento con Unhcr e fondazione Ghandi. Nella notte giovedì 28 potranno imbarcarsi per l’Italia e arrivare regolarmente all’alba di venerdì. 68 sono eritrei, cinque ragazzi sono originari dello Yemen e uno arriva dal Sud Sudan.
“Sono scappato dopo la firma della pace tra Eritrea ed Etiopia - racconta Mehari- In Eritrea il servizio militare è definitivo, io sono stato arruolato 5 anni poi non ce la facevo più, stavo impazzendo. Quando si sono aperti i confini con l’Etiopia sono riuscito a scappare, lì ho lasciato mia madre. Ma ora non posso più tornare indietro”. Per ora Mehari lavora nelle scuole italiane di Addis Abeba, sa tutto dell’Italia, ne conosce l’architettura, la letteratura, la storia. “Non vedo l’ora di arrivare, per prima cosa vorrei laurearmi in scienze politiche e trovare un lavoro - aggiunge -. Avevo già pensato di lasciare il mio paese in modo legale, avevo ottenuto una borsa di studio a Trento e Milano ma non mi hanno mai rilasciato il passaporto. Non puoi andartene dall’Eritrea, puoi solo scappare”. E’ per questo - aggiunge - che molti provano la rotta più pericolosa, quella del mare. “Dopo la pace tra Etiopia ed Eritrea si sono aperti i confini, ma non è cambiato niente per noi - aggiunge - Sì, non c’è più la guerra, ed è una cosa positiva, ma le nostre vite sono rimaste uguali. C’è ancora un regime dittatoriale, non c’è libertà di parola e di pensiero. Ho dei parenti che hanno fatto la traversata via mare e mi hanno raccontato cose orribili, mi dicono che un viaggio terribile. Io ho la fortuna di arrivare con un corridoio umanitario ma in tanti non hanno altra scelta”.
L’Etiopia è il secondo paese africano per numero di rifugiati dopo l’Uganda: secondo l’ultima rilevazione dell’Unhcr ci sono circa 905,831 richiedenti asilo. Solo nella zona al confine con l’Eritrea, a Shire, ci sono 124mila profughi scappati da Asmara. Come Yoanna, 23 anni, nata ad Addis Abeba nel 1996 da genitori eritrei e deportata verso il paese d’origine della famiglia a soli due anni. “Ho vissuto 20 anni in Eritrea, mio padre e mia madre sono stati espulsi dal governo etiopico durante la guerra tra i due paesi. Lì non si può vivere, c’è una dittatura, ogni forma di espressione è repressa - racconta - Appena si sono aperti i confini nel 2018 sono tornata in Etiopia con i miei fratellini. Mi sentivo libera senza esserlo realmente”. Anche Yoanna parla perfettamente italiano: “ per me l’ Italia non sarà un ambiente nuovo, conosco la cultura, l’ho studiata a scuola - aggiunge -prima di tutto voglio lavorare e continuare i miei studi per diventare avvocato. Vorrei occuparmi di giustizia e diritti umani, e portare avanti la causa eritrea, non voglio essere rifugiata a vita, vorrei che le cose cambiassero per poter tornare un giorno a casa mia”.
Mentre parliamo Salih, un anno e mezzo, gioca a calcio con gli altri bambini in mezzo al cortile. Anche lui arriverà a Fiumicino insieme ai genitori, Hawa e Mohammed. “Salih è pronto a partire con la sua famiglia, ha poco più di un anno, la stessa età di Faven la bimba che abbiamo visto nelle immagini del salvataggio della Guardia costiera a Lampedusa - sottolinea Oliviero Forti, responsabile immigrazione di Caritas italiana -. Sono entrambi eritrei ma Salih arriverà in aereo, in maniera sicura evitando tutto quello che ha dovuto rischiare, invece, Faven. Queste due storie ci ricordano le responsabilità dell’Europa che non ha il coraggio di aprire vie legali e sicure di ingresso per chi non ha alle opportunità di fuggire dal proprio paese”.
Una volta in Italia saranno accolte nelle Caritas diocesane in tutta Italia. “Saranno piccole accoglienze in diverse città, completamente a carico della Cei - spiega Daniele Albanese, responsabile del progetto dei corridoi umanitari, mentre completa le ultime scansioni dei documenti - A tutti sarà fornito un travel document e concesso un visto umanitario, secondo l’articolo 25 del codice Schengen. Le persone entreranno in Italia e faranno domanda d’asilo a Fiumicino all’arrivo. Il visto con cui entrano è a territorialità limitata, cioè concede di poter stare solo in Italia. Lì dovranno formalizzare la domanda d’asilo e fare la procedura che fanno le persone che sbarcano nel nostro paese. La differenza è che queste persone le abbiamo incontrate prima, sanno già dove andare, arrivano in aereo senza rischiare la vita, e senza doversi appoggiare ai trafficanti”.
Eleonora Camilli