Un anno fa il ciclone Idai. Mozambico Il 14 marzo 2019 si abbatteva su Beira la furia del tornado. Ora è il tempo della ricostruzione
Il 14 marzo 2019 si abbatteva su Beira la furia del tornado; nei giorni successivi l’alluvione nelle zone periferiche fece il resto. In Mozambico la ricostruzione procede lenta, ma la cooperazione internazionale e la Diocesi di Beira vanno avanti soprattutto a fianco di chi è più povero ed escluso.
Resta lì, quasi sospesa sotto il cielo azzurro, la bianca intelaiatura in ferro della chiesa del Sacro Cuore a Beira: restano il pavimento a righe bianche e grigie, l’altare e poco altro; non ci sono le pareti, figurarsi il tetto spazzato via dalla furia del ciclone Idai che un anno fa, il 14 marzo, si è abbattuto sulle coste del Mozambico dove sorge la città.
Le cifre, seppur faticose da ricavare con esattezza, parlano di quasi un milione di sfollati e circa un migliaio di morti tra Beira e le regioni circostanti, dove l’alluvione dei giorni seguenti a Idai aveva fatto il resto, allagando interi villaggi, portando via case, baracche, coltivazioni, stremando una popolazione già povera che vive di agricoltura di sussistenza.
Medici con l’Africa Cuamm
La presenza in Mozambico dell’ong padovana è ormai storica: lì negli anni Sessanta si sono laureati i primi giovani medici africani grazie al sostegno del Cuamm, che ha inscritto nel suo dna la formazione di personale locale in Africa per conseguire il diritto alla salute su cui si fonda la sua mission tra i più fragili del continente. A distanza di un anno dalla devastazione i risultati sono incoraggianti perché le comunità locali continuano ad andare avanti, a progredire. A raccontarlo è Giovanni Putoto che ha coordinato gli interventi nel corso dell’emergenza: «I 300 attivisti che avevamo formato in città a tempi di record per consegnare a un migliaio famiglie senza più un tetto sulla testa kit alimentari, igienici, sanitari, informativi… continuano a lavorare sul territorio, riportando nei centri di salute le persone più vulnerabili che avevano interrotto cure e terapie: parlo dei positivi all’hiv e delle donne gravide. A fine dello scorso anno oltre 4.500 adolescenti hanno ripreso le terapie per l’hiv e siamo riusciti a recuperare le donne incinte perché evitino il parto domestico e si rivolgano alle maternità extraospedaliere, dove ogni anno si effettuano visite di controllo e circa 2.500 parti».
Un altro fronte su cui si è ricostruito tutto ciò che era stato danneggiato sono i centri sanitari in città a Beira, e quelli a Dodoni e Matanda. «Grazie al significativo contributo della Diocesi di Padova è stata riattivata completamente la facoltà di medicina dell’Università cattolica e questo è stato un passo fondamentale». Ciò che resta da fare è la ricostruzione e l’ampliamento della neonatologia dell’ospedale di Beira, da dove i medici del Cuamm il 14 marzo 2019 hanno tratto in salvo 40 prematuri collocandoli temporaneamente nel reparto di pediatria che si era miracolosamente salvato: «I lavori sono cominciati ma dobbiamo fare presto, perché ogni anno si effettuano solo in quella struttura quasi 10 mila parti,con 2.500 ricoveri in patologia neonatale». L’altro traguardo è raggiungere la popolazione dei centri periferici come nel distretto di Busi, dove il contesto sociale e sanitario è molto critico e serve un approccio sanitario e comunitario integrato per motivare il personale locale.
E ora su tutto incombe la minaccia del Coronavirus che si espande con un 25 per cento al giorno in più di contagi: «Non ci sono terapie intensive, tamponi, non c’è ossigeno… La fragilità del sistema sanitario e i numerosi immunodepressi provati dall’aids, dalla tubercolosi e dalla malnutrizione potrebbero provocare un’ecatombe».
Diocesi di Beira
Per rallentare l’infezione, dal 23 marzo anche il Mozambico ha iniziato a chiudere tutto. «Ci stiamo attrezzando come meglio possiamo per celebrare a distanza la Settimana santa e la Pasqua – racconta mons. Claudio Dalla Zuanna, vescovo della Diocesi di Beira originario di San Nazario lungo la Valbrenta – Abbiamo a disposizione una radio diocesana che ci consente di raggiungere le zone più lontane, mantenendo l’unità e la presenza della Chiesa».
Un anno fa, sotto la furia di Idai il 90 per cento degli edifici sono stati danneggiati in città e tutto è crollato nelle periferie. «C’è chi è riuscito a trovare riparo dai vicini, chi nei cortili delle scuole. Il governo mozambicano ha costruito centri per gli sfollati dove le famiglie stanno in una tenda su un piccolo lotto di 20 metri per 20. In diocesi abbiamo quattro campi e il più numeroso contiene 680 nuclei familiari di cinque, sei persone».
Ricostruzione, purtroppo, è un termine che non conviene usare per quanto fatto finora dal governo. «Nei quartieri periferici non è stato fatto niente: mancano fogne, strade, corrente elettrica e la gente vive come meglio può. Da quanto dicono le fonti governative la comunità internazionale aveva promesso più di un miliardo di dollari; alla fine sono giunti solo 200 milioni. Si giustificano così». Dove i fondi sono transitati direttamente i passi in avanti sono stati invece compiuti: grazie ai 190 mila euro provenienti dalla Caritas internazionale e anche, tra gli altri, con il contributo della Diocesi di Padova che ha destinato 20 mila euro fin dai primi giorni dopo la sciagura, la Diocesi di Beira continua a operare con gli “attivisti della carità”: sono per lo più giovani, che nei quartieri dove si entra solo a piedi, perché non esistono strade, fino a maggio continueranno a dispensare a 600 famiglie bisognose kit alimentari e materiali da costruzione per stanze di 3 metri per 3. Gli attivisti hanno sempre stilato anche rapporti per censire necessità di base e il numero dei componenti dei nuclei familiari per distribuire gli aiuti in maniera efficace.
«Le scuole – conclude il vescovo di Beira – non si sono mai fermate: ragazzi e insegnanti facevano lezione sotto gli alberi, nei cortili anche con il caldo. Con i 250 mila euro dell’8 per mille della Chiesa italiana abbiamo potuto riparare le scuole in poco tempo. Ora serve tutto ciò che è andato perduto: materiali, strumentazione, dispositivi, banchi, ma confido che lentamente faremo tutto».
Padre Martinho
Manca solo la discussione della tesi in teologia pastorale alla Facoltà teologica del Triveneto e poi padre Martinho Semente Figueiredo potrà fare ritorno nella sua Beira «per essere a completo servizio della mia Diocesi d’origine». La Chiesa di Padova ospita per gli studi il giovane sacerdote che vive in parrocchia a Vigonza: lo scorso anno ha vissuto da qui il dramma, faticando per settimane a mettersi in contatto con i fratelli e perdendo entrambi i genitori a causa dell’alluvione. «Lo Stato è molto lento nella ricostruzione, mentre la Chiesa locale è riuscita a dare risposte più rapide soprattutto alla popolazione più bisognosa. Un mese fa una forte pioggia si è abbattuta su Beira, rimettendo in ginocchio molte famiglie che hanno rivissuto la paura di un anno fa. E ora sta arrivando il Coronavirus. La mia preoccupazione è molta perché, nonostante si stia lavorando sulla prevenzione e per recuperare posti di terapia intensiva, non esistono le condizioni che ci sono qui in Italia».
Amo Amici del Mozambico
C’era anche Amo-Amici del Mozambico in prima fila fin dall’inizio per rispondere all’emergenza. Ammonta a 35 mila euro la somma stanziata dall’associazione padovana, sorta negli anni Novanta a sostegno dell’opera missionaria del comboniano padre Ottorino Poletto. Amo porta avanti il Progetto Esmabama (acronimo delle quattro parrocchie missionarie all’interno della Diocesi di Beira: Estaquinha, Mangunde, Barada e Machanga, che si trovano nella regione di Sofala). Istruzione e formazione sono le parole d’ordine per circa 6.600 studenti locali che frequentano le scuole delle missioni; di questi circa 2.350 sono alunni convittori. Quasi tutti sono figli di contadini o pescatori, molti sono accolti come orfani. Attualmente Esmabama conta 230 dipendenti tra tecnici e sanitari, mentre gli insegnanti sono direttamente stipendiati dallo Stato che riconosce il grande ruolo dell’associazione nei territori dove opera.
«La nostra raccolta è stata consegnata nelle mani del vescovo Dalla Zuanna per ripristinare le scuole danneggiate dal ciclone, che sono potute ripartire quasi subito con le attività didattiche, e per il sostegno alimentare alla popolazione più povera organizzato dalla stessa Diocesi», spiega il presidente Lorenzo Altoviti che da poche settimane è rientrato insieme a padre Poletto dal Mozambico, dove si erano recati proprio per verificare i risultati degli interventi. L’altra azione di solidarietà è stato il ripristino di un importante impianto d’irrigazione per centinaia di ettari coltivati.