Tra occupazioni e scioperi. Alle prese con le proteste dei protagonisti del mondo scolastico
All’approssimarsi del primo stop dell’attività scolastica (le festività natalizie), le proteste agitano istituti e classi, con manifestazioni e, appunto, occupazioni.
Dicembre (o novembre, per chi si muove prima) andiamo è tempo di… occupare.
Prendiamo a prestito un verso famoso, piegandolo alla realtà dei nostri giorni, per affrontare un tema che è caro al mondo della scuola e cioè le proteste dei protagonisti del mondo scolastico e, in questo caso, segnatamente degli studenti, che all’approssimarsi del primo stop dell’attività scolastica (le festività natalizie), agitano istituti e classi, con manifestazioni e, appunto, occupazioni.
Negli anni passati il fenomeno aveva una rilevanza certo maggiore di oggi. La pandemia lo ha fatto quasi dimenticare. Adesso, che la scuola sembra essere ripartita, sia pure con grandi difficoltà, ecco di nuovo comparire striscioni alle finestre di alcuni istituti, lezioni bloccate, proteste. Anche se, a dire il vero, lo slancio – e la vastità del fenomeno – conosciuto in passato sembra decisamente attenuato. Con anche voci contrarie dal mondo studentesco che si levano con volume più alto rispetto agli anni delle occupazioni generalizzate.
Qual è, o quali sono i problemi? Uno generale prima di tutti: il sentimento che la scuola venga sottovalutata. Non è difficile alimentare questa convinzione, anzitutto perché, essendo la scuola una realtà con tantissime sfaccettature, numerosi e diversi protagonisti – elencando, a partire dagli studenti e dai loro genitori, bisogna includere i docenti, ma anche il personale Ata e poi i dirigenti, categoria tra le più scontente – qualche “falla” nel sistema si verifica quasi inevitabilmente.
Così lo sciopero indetto dalle organizzazioni sindacali – la Cisl però non aderisce – per il 10 dicembre solleva motivazioni che vanno dalle rivendicazioni salariali a quelle sulla sicurezza degli istituti, fino alle questioni legate all’autonomia. E a quella degli attori sindacali si affianca la protesta di alcuni studenti, allargando peraltro il raggio del malcontento: più risorse, scuole aperte al pomeriggio, più democrazia, più partecipazione, meno burocrazia e via di questo passo. Per dire, in sostanza, che la scuola così com’è non va bene, non piace.
Che fare? In realtà bisogna riconoscere che in un periodo così difficile come questo che stiamo attraversando, il mondo della scuola ha fatto enormi sacrifici e nello stesso tempo ha scoperto risorse inattese. Di più: ha conquistato nell’opinione pubblica un’attenzione che merita certamente, qualificandosi come nodo-chiave della società e del vivere comunitario, con lo sguardo aperto al futuro. Ancora: le risorse messe in campo dal Governo e l’impegno di Viale Trastevere non sono mancati. Almeno a parole – ma anche a giudicare dagli stanziamenti economici – la centralità della scuola è davvero un obiettivo che si sta cercando di perseguire. Basta tutto questo? Probabilmente no. Sono reali le preoccupazioni su stabilizzazione e contratti, i malumori di dirigenti oberati sempre di più da carichi di responsabilità pesanti, quelli del personale Ata. Sono comprensibili le agitazioni di studenti che coabitano da tanto con disagi di vario tipo.
Tuttavia paiono sensate le parole della leader Cisl Maddalena Gissi, che pur non dimenticando le criticità prende le distanze dallo sciopero del 10 dicembre così: “Ma chi ve lo fa fare? Vi conviene? … concentrare attenzione ed energie sull’espressione della protesta, anziché focalizzarle sul conseguimento dei risultati concretamente possibili, ci è parsa una scelta sbagliata e in definitiva perdente, direi quasi di implicita rassegnazione a non vedere accolte le proprie richieste, alcune delle quali appaiono, nel contesto dato, del tutto irrealistiche”.