Tra i bambini soldato del Messico: una realtà fuori controllo dove si arruolano i più poveri
Nello Stato del Guerrero, nel Messico sud-occidentale, nella guerra portata avanti dai gruppi criminali e dai grandi cartelli del narcotraffico, vi sono ragazzi e bambini che marciano armati, a capo coperto e con un’uniforme: quella della guardia indigena della popolazione dei nahuas. Per comprendere e contestualizzare quanto accade, il Sir ha intervistato il vescovo di Chilpancingo-Chilapa, mons. Salvador Rangel Mendoza; l’antropologo e difensore dei diritti umani Abel Barrera e Fernando Ríos, segretario esecutivo della Rete Tdt
Sono stati subito chiamati “i bambini soldato del Guerrero”. Le loro immagini non potevano passare inosservate, pure in un contesto dove la violenza è il pane quotidiano. Anzi, hanno fatto il giro del mondo. Ragazzi e veri e propri bambini che marciano armati, a capo coperto e con un’uniforme: quella della guardia indigena della popolazione dei nahuas, nello Stato del Guerrero, nel Messico sud-occidentale. La guardia è espressione del Coordinamento regionale di autorità comunitarie e popoli fondatori (Crac), che raggruppa la popolazione locale di 16 municipi della zona interna del Guerrero. Un territorio da anni teatro della singolare “guerra” messicana: quella portata avanti dai gruppi criminali e dai grandi cartelli del narcotraffico. A metà gennaio, per esempio, dieci componenti del gruppo musicale Sensación sono stati trucidati a Mexcalzingo, nel municipio di Chilapa. I corpi di alcuni di loro sono stati bruciati, probabilmente dal gruppo criminale dei “Los Ardillos”.
Ragazzi nella guardia indigena. Pochi giorni dopo, gli indigeni, per protestare contro un altro barbaro massacro contro alcuni di loro, e nell’impossibilità di schierare un numero sufficiente di adulti nella loro guardia, hanno fatto ricorso ai ragazzi. Come giudicare e contestualizzare questo fatto?
Il Sir ha interpellato, in primo luogo, il vescovo di Chilpancingo-Chilapa, mons. Salvador Rangel Mendoza. Da anni il pastore lancia allarmi sulla situazione del territorio e, per cercare di alleviare la situazione del suo gregge, ha anche cercato un controverso “dialogo” con i gruppi armati, per cercare di abbassare il livello della violenza contro i civili. “In Messico il 2019 è stato l’anno più violento. Per la verità, nel territorio della mia diocesi i livelli sono invece un po’ scesi. Forse ciò è accaduto anche per alcune azioni, io stesso per proteggere la gente mi sono sentito spinto a cercare di parlare con i criminali. Inoltre, credo che molto dipenda dal fatto che è crollato il prezzo della gomma da oppio, passato da 40mila pesos e 13mila pesos, a causa dell’aumento delle droghe sintetiche. Quindi, si è un po’ allentata la pressione dei gruppi criminali, anche se al tempo stesso il crollo dei prezzi ha comunque impoverito ulteriormente i contadini”.
Il vescovo: “Errore a livello educativo”. Ma la situazione resta difficile, “personalmente ci tengo molto a dire che nessun sacerdote ha abbandonato la sua comunità, cerchiamo di camminare insieme alla nostra gente”. Per quanto riguarda i “bambini soldato”, mons. Rangel non esita a dire che “per il nostro territorio, da un lato, si tratta di un altro fatto, come quello dei 43 studenti desaparecidos di Ayotzinapa, che ci fa vergognare a livello internazionale. È chiaro che si è trattato di un errore, soprattutto a livello educativo,
il rischio è quello di istruirli alla violenza, di considerare normale l’uso delle armi”.
D’altro canto, il vescovo non dà la colpa principale agli indigeni, ma soprattutto all’assenza dello Stato: “Si tratta di una popolazione molto povera, della cosiddetta Montaña baja, totalmente abbandonata. Si sono visti costretti a fare questa scelta, io credo sia stato anche un modo per attirare l’attenzione”.
L’antropologo: “Persa ogni dimensione umana”. Molto critico con gli organi politici è anche l’antropologo e difensore dei diritti umani Abel Barrera, direttore del “Tlachinollan – centro per i diritti umani della montagna”, con sede a Tlapa, altra città della zona montuosa dal Guerrero: “Tutto questo – spiega al Sir – è successo per la scandalosa assenza delle Istituzioni.
I bambini sono il tesoro della comunità indigena, ma nonostante ciò, è stata fatta questa scelta che alla comunità è parsa quasi obbligata.
Inoltre, c’è da dire che, per quanto riguarda gli adolescenti, all’interno delle comunità indigene si diventa adulti presto, per esempio spesso già a 16 anni i giovani si sposano. Ma credo che, comunque, la scelta di armare dei minori sia stata vissuta come un fatto straordinario, eccezionale”.
Barrera descrive una realtà completamente fuori controllo: “In queste zone vige la guerra del taglione, ogni cittadino è controllato dalla delinquenza. Si è completamente persa la dimensione umana del rispetto per la vita, si vuole non solo uccidere ma generare terrore, come è avvenuto nel caso dei corpi dei musicisti, che sono stati bruciati dopo l’uccisione”. E tutto questo avviene “con la complicità delle forze dell’ordine e con politici legati alla delinquenza, nei Comuni e nello Stato.
Quindi, la vera domanda, a proposito dei bambini soldato è: perché si è arrivati a questo? Cosa sta accadendo nelle istituzioni?”.
E prosegue: “Ci troviamo di fronte a un sistema fallito, mancano educazione, salute, lavoro, sistema giuridico. Non accetto che si dica che tutto questo è colpa della società, quando invece le responsabilità sono di uno Stato che utilizza le istituzioni per interesse privato”.
Aumenta il coinvolgimento dei minori nella violenza. Conferma Fernando Ríos, segretario esecutivo della Rete nazionale degli organismi civili per i diritti umani “Todos los derechos para todos y todas” (Rete Tdt): “Il Guerrero è uno degli Stati messicani dove i diritti non sono garantiti, il controllo territoriale della criminalità è minuzioso. Si tratta davvero di una situazione disperata e le guardie indigene come la Crac, che a lungo sono state previste per legge statale e solo da poco sono state ‘abolite’, costituiscono in realtà l’unica fragile difesa rispetto ai gruppi criminali”.
L’esperto allarga la situazione al resto del Paese e al crescente coinvolgimento dei minori nella violenza. Poche settimane fa, tra l’altro, un ragazzo non ancora dodicenne, a Torreón, nello Stato settentrionale del Coahuila, in possesso di due armi, una di basso calibro e una di alto calibro, è stato protagonista di una sparatoria in classe. “In tutto il Paese – afferma Ríos – viviamo in un contesto di decomposizione sociale e il compito educativo verso ragazzi e giovani è molto duro. Si abbassa l’età di chi è in possesso di armi da fuoco e d è coinvolto nella criminalità. E anche tra le vittime aumentano i minori. Basti pensare che nel Paese spariscono 4 minori al giorno e nell’ultimo decennio i bambini desaparecidos sono quasi 7mila”.