Suicidi tra le forze dell'ordine: nel 2019 sono stati 69. Nel 2020 sono già sei

All'indomani dell'ennesimo caso, l'analisi di Domenico Bozza, psicologo formatore presso Forze dell'ordine e Forze Armate. “Fondamentale cogliere il burnout, frequente tra lavoratori esposti a traumi e rischi. Sostegno psicologico per tutti e interventi mirati dovrebbero essere garantiti”

Suicidi tra le forze dell'ordine: nel 2019 sono stati 69. Nel 2020 sono già sei

ROMA - Si è tolto la vita sparandosi con la pistola d'ordinanza: è accaduto ieri a Roma, protagonista un assistente Capo della Polizia di Stato di 57 anni. E' già il 6° caso, dall'inizio del 2020, di un dramma di cui si parla poco, ma che miete un gran numero di vittime. Come riferisce infatti Infodifesa , portale d'informazione per il comparto sicurezza e difesa, infatti, “il 2019 è stato un anno devastante per le Forze Armate e di Polizia con 69 suicidi: uomini, padri, figli, fratelli che hanno avuto il coraggio di morire ma non di urlare per paura di repressioni, trasferimenti o demansionamenti”. C'è, a quanto pare, un diffuso malessere tra questi lavoratori particolarmente esposti a rischi e traumi, tanto che “gli psicologi civili bussano alle porte dello Stato per offrire il loro supporto – si legge sul portale - ma lo Stato gira la testa dall’altra parte”.

Tra questi psicologi, che conoscono e provano a supportare le fragilità di chi lavora nelle Forze armate e di Polizia c'è Domenico Bozza, che da cinque anni è inviato dall'Ordine regionale del Lazio come consulente nelle sedi e comandi della Guardia di Finanza, proprio con l'obiettivo di cogliere i segni del malessere prima che diventino insostenibili. Ha collaborato come docente formatore per la Polizia di Stato e collabora attualmente con Esercito e Arma dei Carabinieri in convegni legati proprio alla tematica del suicidio.

“Queste morti ci informano del carattere di urgenza di un'azione preventiva, che non si può più rinviare. Si possono mettere in campo tutta una serie di interventi, strumenti e strategie con tempestività, prima che si inneschi un meccanismo di volontà suicidaria da parte dell'appartenente a quella determinata forza armata o dell'ordine”. La pistola d'ordinanza può avere, in questi casi, anche un valore simbolico del legame tra il malessere e la professione: “Può rappresentare l'emblema del corpo al quale si appartiene e comunicare al mondo il grido di disperazione che quella istituzione non ha saputo intercettare. In altri casi, naturalmente, la pistola d'ordinanza può semplicemente essere lo strumento di facile accesso per togliersi la vita”.

Di fatto, secondo Bozza, spesso c'è uno stretto legame tra il suicidio di un poliziotto, un carabiniere o un militare e la particolare professione che egli svolge, con il carico di tensione, paura, rischio e i frequenti traumi che questa comporta. “Certamente non si può dire che queste disperate azioni siano sempre legate al lavoro o all'organizzazione del lavoro svolto. Spesso tuttavia un legame esiste e risiede nella mancata consapevolezza, da parte dei responsabili e delle istituzioni, che sotto l'uniforme c'è una persona, con le fragilità e le difficoltà emotive legate anche alla vita privata. Quando si ricopre un ruolo forte, rappresentativo, dove il rigore viene al primo posto, quasi non è ammesso pensare che si possano avere dei problemi personali, anche gravi: una separazione, un lutto, una malattia. Grandi dolori, che possono far 'scoppiare' anche la personalità più coriacea e strutturata”.
Qualunque sia la radice e la ragione del disagio, è tuttavia possibile e importante coglierne le prime manifestazioni: “Esistono tutta una serie di fattori di quella condizione che chiamiamo 'Sindrome di Burnout' : a fronte di pressioni o difficoltà, il lavoratore si annulla rispetto alle sue capacità e potenzialità, fino a non essere più funzionale nel ruolo che è chiamato a svolgere. Tra le cause, ci possono essere problematiche legate al lavoro, come la mancanza di opportunità di carriera, difficoltà coi colleghi, scarso equipaggiamento, ricompense inadeguate, burocratizzazione. Tra le manifestazioni iniziali, ci sono la difficoltà di concentrazione, un'anomala tendenza all'irritabilità, la difficoltà ad esprimersi, vuoti di memoria, crisi di pianto, umore depresso, attacchi d'ansia, disturbi del sonno. A questi segnali possono aggiungersi alterazioni dell'appetito, frequenti mal di testa, tensioni muscolari, malattie psicosomatiche che vanno dalla gastrite ad un abbassamento delle difese immunitarie. Sono questi 'campanelli' che debbono allertare, non appena si manifestano”.
Fondamentale è “non tacere né sottovalutare il disagio psichico: intervenire precocemente può evitare che sintomatologie più gravi prendano il sopravvento. Viviamo una società molto medicalizzata, pronta ad ascoltare solo il sintomo fisico, organico, sottovalutando invece quello psichico, perché spesso visivamente non tangibile. E' che io chiamo la 'cultura del Moment': hai mal di testa? Prendi la pillola e passa il dolore. Si elimina il sintomo, ma non si saprà mai la causa”. Se questa è un'indicazione utile in generale e per tutti i casi di disagio psichico, per quanto riguarda in particolare il “burnout” di chi lavora nelle Forze armate o di Polizia, occorre mettere in campo alcune strategie di prevenzione specifiche: “Bisogna potenziare gli sportelli di ascolto psicologico già presenti in alcuni corpi di polizia – spiega Bozza – e aprire l'accesso per tutti e non solo a chi ne faccia richiesta, per evitare di che chi me usufruisce sia additato come 'malato'. Utilissimi sarebbero anche corsi di formazione 'a tappeto' sulla comunicazione verbale, non verbale, sulla gestione dello stress e il riconoscimento degli indicatori di tollerabilità allo stress stesso, rivolti agli operatori di ogni grado. Gli interventi di sostegno psicologico andrebbero poi differenziati a seconda dei destinatari e delle loro specifiche funzioni: realtà di guerra, attività di controllo del crimine, emergenze o lavoro d'ufficio. Fondamentale sarebbe poi realizzare, almeno una volta l'anno, interventi di valutazione degli appartenenti alle forze dell'ordine e alle forze armate e favorire una cultura dell'approccio psicologico, che è diverso da quello psichiatrico, a dispetto dell'ancora persistente etichetta dello 'psicologo medico dei matti', che tiene ancora tante persone lontane da un sostegno di cui invece avrebbero bisogno”. (cl)

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)