Siria: un mese dopo l’offensiva turca “Sorgente di pace” non si attenua l’emergenza umanitaria
È trascorso quasi un mese dall'inizio, il 9 ottobre, dell'offensiva militare turca "Sorgente di pace", nel nordest siriano dove è sempre più emergenza umanitaria. Effetti che non si fermano solo alla Siria ma che toccano anche l'Iraq dove arrivano sfollati siriani al ritmo di 1.200 persone al giorno. Le testimonianze dalla città siriana di confine Qamishili e dal Kurdistan iracheno
È iniziato il 5 novembre, il secondo pattugliamento militare congiunto di Turchia e Russia nel nord della Siria, a est del fiume Eufrate, come previsto dagli accordi siglati dai presidenti Recep Tayyip Erdogan e Vladimir Putin il 22 ottobre a Sochi per porre fine all’offensiva turca contro i curdi. L’intesa Ankara-Mosca prevede che i pattugliamenti avvengano fino a 10 km entro il territorio siriano a est e ovest dell’area sotto il controllo esclusivo della Turchia, cioè i 120 km di frontiera compresi tra Tal Abyad e Ras al Ayn, per accertare il ritiro delle milizie curde dalle zone di confine.
Emergenza in Siria. Cominciata il 9 ottobre con i primi bombardamenti dell’aviazione turca sulle cittadine di confine, l’offensiva turca denominata “Sorgente di pace” ha provocato un’emergenza umanitaria che padre Antonio Ayvazian, il parroco armeno-cattolico di Qamishli, città siriana al confine con la Turchia teatro di diversi scontri tra curdi e turchi, quantifica al Sir in “circa 160 mila sfollati interni siriani fuggiti soprattutto dai villaggi della regione di Tal Abyad e Ras al Ayn” “e da altre zone di confine. La maggior parte è arrivata a Qamishli e ad Hassakè. Qui sono stati ospitati da altre famiglie, la maggioranza nelle scuole, pubbliche e private come quelle cristiane, dove ricevono tutta l’assistenza necessaria”. “Non abbiamo messo in piedi tendopoli – spiega il sacerdote che è anche vicario della comunità armeno-cattolica dell’Alta Mesopotamia e della Siria del Nord – perché nelle scuole hanno tutto ciò di cui hanno bisogno, acqua, bagni, e un tetto sulla testa. Per liberare le aule necessarie le scuole hanno accorpato le classi. Gli spazi dei nostri conventi sono stati convertiti in aule”. Sin dai primi giorni dell’offensiva turca la Chiesa cattolica armena locale è in prima linea nell’aiuto agli sfollati fornendo in particolare assistenza sanitaria.
“Abbiamo organizzato dei team sanitari mobili che girano quotidianamente nei luoghi di accoglienza per visitare in particolare bambini e anziani, prescrivere medicine che forniamo gratuitamente. Ai più piccoli diamo biscotti vitaminici e acqua potabile. Con quelle di oggi sono 24 le scuole che abbiamo visitato. Qui a Qamishli è attivo anche un nostro laboratorio analisi, una farmacia e cinque cliniche dove lavorano oltre trenta tra medici e paramedici che hanno tra i loro compiti l’assistenza delle donne in attesa. Anche le agenzie umanitarie legati alla Chiesa ortodossa russa stanno offrendo il loro aiuto. Non ci sono distinzioni: aiutiamo tutti perché siamo tutti siriani”. Altro fronte aperto è quello dell’istruzione: “sono più di 500 i bambini che abbiamo inserito nelle classi delle nostre scuole – dice padre Antonio – perché i loro istituti sono stati chiusi a causa della guerra. In questo modo non perderanno l’anno scolastico”.
La speranza di fare ritorno nei propri villaggi è viva in tanti sfollati, purtroppo, ammette il parroco, “per molti questa potrebbe rivelarsi una speranza vana. Nella loro offensiva, infatti, le forze turche e le milizie alleate hanno saccheggiato e raso al suolo interi villaggi che dovranno essere ricostruiti. Ma quando? Questa è una domanda che rischia di non avere risposta. Anche le organizzazioni umanitarie che erano sul posto hanno dovuto lasciare tutto e andarsene lasciando senza aiuto i pochi rimasti”.
Resta la speranza legata alle parole di Papa Francesco che, nelle intenzioni di preghiera per il mese di novembre, ha invitato la chiesa universale a pregare per il Medio Oriente. “Il pontefice ci commuove. Quando parla della Siria usa sempre il termine ‘amata’. Ma anche la Siria ama il papa. Ci uniamo alla preghiera di Papa Francesco perché in Medio Oriente nasca uno spirito di dialogo, di incontro e di riconciliazione”.
Emergenza in Iraq. Non meno grave la situazione umanitaria nel versante iracheno, al confine con la Siria. Daniele Mazzone, vice responsabile dei progetti Avsi in Iraq, cita dati dell’Unhcr, (Alto Commissariato Onu per i Rifugiati), aggiornati alla fine di ottobre: sarebbero circa 11.300 i siriani che si sono mossi dalla Siria verso il Governatorato di Dohuk, in territorio del Kurdistan iracheno, a causa dell’offensiva turca.
“Nella seconda metà di ottobre il flusso è stato di 1200 persone al giorno – spiega Mazzone –. Se dovesse mantenersi tale arrivare a 50 mila sfollati sarà questione di poco tempo. Questi andrebbero ad aggiungersi ai circa 200 mila rifugiati siriani già presenti. 250 mila persone è una cifra importante per le dimensioni del Kurdistan iracheno”.
Settimana scorsa si è tenuto un meeting delle ong impegnate sul terreno e l’Unhcr. “È emerso che la situazione è molto fluida e soggetta a repentini cambiamenti. Molto dipenderà da ciò che accadrà in Siria”. Nel frattempo, afferma Mazzone, “i nuovi arrivati dalla Siria vengono accampati nel campo di Bardarash, già chiuso una volta e ora riaperto per l’occorrenza. Si parla anche di un possibile secondo campo sempre nella stessa area, a Domiz”. A Bardarash manca tutto: “assistenza sanitaria e igienica, acqua potabile, cibo, istruzione. Ogni aiuto è per ora fermo – spiega Mazzone – perché le autorità curde hanno paura di infiltrazioni da parte di militanti di Daesh, del Pkk curdo, dell’Ypg.
Fintanto che le indagini sui presunti sospetti non vengono chiuse l’Unhcr non ha il permesso di entrare nel campo per assistere le persone. Il nervosismo da parte delle autorità curde irachene è evidente e questo pesa nei rapporti con le ong presenti. Non esiste infatti nessun tipo di coordinamento. Come Avsi – conclude il vice direttore – siamo nella rete di ong (Ncci) impegnate nell’azione di monitoraggio della situazione. Abbiamo un progetto a Dohuk che assiste rifugiati, sfollati e comunità ospitante e alla luce di questi bisogni potremmo anche includere persone dalla Siria nelle nostre attività”.