Reddito di cittadinanza. “Risorse inutilizzate? Vadano all’assegno per i figli”
Risorse in più e qualche difetto di disegno. Per la misura dei cinquestelle è tempo di fare una revisione. Massimo Baldini, professore di Scienza delle Finanze dell’università di Modena e Reggio Emilia: “Sia complementare e non alternativo al lavoro, aumenterebbe l’incentivo alla ricerca”
ROMA - C’è chi vuole migliorarlo insieme alle parti sociali, ma c’è anche chi, tra i banchi dell’opposizione, torna a parlare di referendum abrogativo. Una cosa è certa: con l’attuale governo, il Reddito di cittadinanza continuerà ad esistere. Eppure, le risorse non utilizzate nel 2019 e quelle che con ogni probabilità rimarranno inutilizzate anche per la gestione dei prossimi anni, pongono degli interrogativi a cui il governo sarà chiamato a rispondere: che fare delle risorse del Fondo povertà non utilizzate? Come fare per non cambiare capitolo di spesa a queste preziose risorse, visto che la povertà ad oggi ha ancora numeri record in Italia? Lo abbiamo chiesto a Massimo Baldini, professore di Scienza delle Finanze dell’università di Modena e Reggio Emilia. La nomina di Nunzia Catalfo al ministero di Via Veneto, per il futuro del Reddito di cittadinanza, è di sicuro una garanzia. È stata lei la prima relatrice in Senato del provvedimento prima ancora che i cinquestelle arrivassero a Palazzo Chigi. Tuttavia, gli ultimi dati sui risparmi provenienti da Quota 100 e Reddito di cittadinanza resi noti dal presidente dell'Inps, Pasquale Tridico, al Forum dell’Ansa, aprono nuove prospettive. Secondo Tridico, quest’anno ci saranno 2,5 miliardi di euro risparmiati dalle due misure: 1,5 miliardi da Quota 100 e un ulteriore miliardo dai fondi non utilizzati del Reddito di cittadinanza. Secondo Tridico, si sta pensando ad un Fondo integrativo pubblico complementare su cui proprio il ministero del Lavoro ha chiesto all’Inps di fare una valutazione in merito. Da dove viene questo risparmio? Stando agli ultimi dati diffusi dall’Inps sul Reddito di cittadinanza, in sei mesi la misura ha raggiunto circa 2,3 milioni di persone e 960 mila nuclei familiari, andando cioè a coprire circa la metà della platea dei poveri assoluti presenti in Italia, secondo le stime dell’Istat. Difficile, quindi, che nel 2019 si riesca a raddoppiare il numero dei beneficiari, ma come ricordava anche Tito Boeri durante la presentazione dei dati del Rei al termine della passata legislatura, un tale obiettivo è difficile da raggiungere in ogni caso, visto che a livello internazionale le misure contro la povertà riescono a raggiungere tra il 40 e l'80 per cento delle platee di riferimento. Quindi è lecito aspettarsi altre risorse inutilizzate provenienti dal Reddito di cittadinanza, anche perché si spera che una fetta di beneficiari possa uscire dalla povertà assoluta grazie agli interventi previsti in misura. A chiedere già in passato di dirottare le risorse in più verso le necessità delle famiglie sono state proprio le associazioni familiari. Anche Di Maio, da ministro del Lavoro durante il primo mandato di Conte, aveva promesso che il miliardo avanzato dal Rdc sarebbe stato destinato alle famiglie, ma alla fine sono state “congelate” per migliorare i saldi di finanza pubblica. Ora che non si parla più di un solo miliardo e mezzo, come allora, ma di 2,5 miliardi, il futuro delle risorse in più è tutto da decidere. “Potrebbero contribuire a finanziare questo assegno sui figli di cui tanto si parla - spiega Baldini -. Il nuovo governo vuole diminuire un po’ il cuneo fiscale per i redditi da lavoro bassi e dare più risorse alle famiglie con figli. Credo che si debba quindi rivedere tutta la struttura degli attuali trasferimenti alle famiglie con figli”. Le possibili soluzioni, infatti, non sono poi così tante. “Se davvero ci sono queste risorse penso che dovrebbero andare o alla riduzione del deficit o, se lo vogliamo continuare ad usarle per la povertà, per l’assegno ai figli”, ribadisce Baldini. Ma che tipo di assegno? “Io sarei favorevole ad un assegno ai figli universale come accade nei paesi dell’Europa centrale, ovvero Germania e Francia - spiega Baldini -. Certo costa molto scollegato dal reddito, ma a me piacerebbe. Cento euro al mese per ogni bambino sotto i 18 anni, tassabili così le famiglie a reddito alto lo restituiscono quasi a metà, mentre per le famiglie a reddito basso non ci sarebbero costi”. Un intervento che, secondo Baldini, potrebbe essere “molto utile per rispondere ai soliti problemi: dalla povertà infantile alla bassa natalità”. La questione delle risorse, insieme alla nuova compagine politica di Palazzo Chigi, tuttavia, potrebbe aprire la strada anche a dei miglioramenti in corso d’opera per quanto riguarda proprio il Reddito di cittadinanza. Per Baldini, sono due gli aspetti su cui occorre intervenire. Il primo riguarda le politiche attive. “Purtroppo si è fatto l’errore di puntare molto sui navigator, spendendo molte risorse che avrebbero avuto forse un miglior esito se fossero state investite in politiche attive, cioè in corsi di formazione e altre modalità al fine di aumentare le competenze dei beneficiari del Rdc, rispetto al semplice collegamento col mercato del lavoro”. Secondo Baldini, infatti, tra i beneficiari del Rdc, “c’è un problema di bassa istruzione” e le politiche in questo ambito sono regionali e non ovunque funzionano bene. Anzi, “funzionano malissimo proprio in quelle regioni dove ci sono più disoccupati. Mi pare che su questo fronte non si stia facendo nulla”. Per Baldini, tuttavia, il Reddito di cittadinanza soffre di un problema strutturale e di disegno per quel che riguarda il rapporto tra beneficio economico e la possibilità di tornare nel mondo del lavoro. “Per come è disegnato, oggi c’è una forte discrasia tra lavoro e Reddito di cittadinanza. È stato pensato come alternativa al lavoro: lo ottengo perché sono disoccupato, ma quando trovo lavoro lo perdo del tutto, invece bisognerebbe pensare ad un sussidio che si integra con il lavoro e che non lo rimpiazza”. Far convivere Reddito di cittadinanza e lavoro è possibile, spiega Baldini. “Il mercato del lavoro è cambiato e, anche se si trova un lavoro, spesso è mal retribuito e non è in grado di mantenere una persona. Per questo serve un’integrazione al reddito e la misura dovrebbe essere pensata sempre più come complementare al lavoro e non come alternativa”. Basterebbe intervenire sull’aliquota marginale per abbassare il sussidio quando il reddito da lavoro aumenta. “ ”, assicura Baldini.