Quel difficile equilibrio. Il governo ai ferri corti
Nel clima avvelenato di queste ultime settimane di campagna elettorale, il Paese sembra più che mai appeso al responso del voto europeo
Lo scontro tra M5S e Lega ha raggiunto livelli tali da rendere difficoltoso comprendere come le due forze possano convivere nella stessa maggioranza di governo. Al punto che le voci di una possibile crisi dell’esecutivo, che pure hanno punteggiato costantemente le cronache politiche degli ultimi mesi, appaiono meno improbabili del solito. Bisognerebbe forse ricordare che, poco più di un anno fa, i due partiti hanno corso per le elezioni nazionali in aperta concorrenza tra loro e che, a ogni tornata di voto amministrativo o regionale intercorsa da allora, si sono ritrovati su fronti contrapposti. Era inevitabile, anche a prescindere da ogni altra considerazione, che l’approssimarsi delle elezioni europee, tanto più con la rilevanza politica che esse hanno assunto in questa circostanza, facesse riesplodere la competizione tra le due forze di maggioranza.
Finora l’esperienza del governo Conte è servita ad entrambe per far passare, in un modo o nell’altro, le misure principali dei rispettivi programmi elettorali e per collocare in alcuni posti-chiave dell’amministrazione pubblica personalità di fiducia o quantomeno non espressione della precedente maggioranza. Il famoso “contratto” ha fornito la cornice iniziale per la convivenza tra due partiti che hanno in comune alcuni elementi di cultura politica (per esempio una critica radicale alla democrazia rappresentativa e un rapporto problematico con le istituzioni indipendenti) ma che restano alternativi sul piano programmatico. Non a caso, più di una volta, è sembrato quasi che sussistessero due diversi governi in uno.
La competizione, anche aspra, all’interno della stessa maggioranza non è una novità per la storia politica italiana, basti pensare all’epoca della Dc di De Mita e del Psi di Craxi. Ma nel contesto attuale, neanche lontanamente paragonabile a quello di allora, la competizione tra M5S e Lega ha consentito alle due forze di egemonizzare l’intero spazio politico, assorbendo nelle dinamiche della coalizione di governo persino la dialettica tra maggioranza e opposizione. Né il Pd né Forza Italia, per motivi assai diversi tra loro, sono riusciti finora a costruire un’opposizione strutturata e concorrenziale agli occhi dell’opinione pubblica. Forza Italia, peraltro, insiste nell’indicare come obiettivo una nuova alleanza di governo con Salvini, alleato in tutte le elezioni locali affrontate negli ultimi mesi.
L’equilibrio giallo-verde ha cominciato a scricchiolare quando i sondaggi e le elezioni parziali hanno rivelato un netto calo del M5S e una crescita vistosa della Lega, con un ribaltamento teorico dei rapporti di forza presenti all’interno del Parlamento uscito dal voto del 4 marzo 2018. A imprimere un’accelerazione vorticosa a questo sommovimento sono intervenuti due fattori esterni (per modo dire) alla dinamica strettamente politica: la situazione economica, che taglia le gambe ai propositi più velleitari per il futuro, e la variabile giudiziaria, che ha investito pesantemente sia la Lega che il M5S. Nel clima avvelenato di queste ultime settimane di campagna elettorale, dunque, il Paese sembra più che mai appeso al responso del voto europeo. Subito dopo, però, bisognerà pensare a una legge di bilancio che parte con l’handicap di 23 miliardi di aumenti Iva da disinnescare (o no?) e che allo stesso tempo dovrebbe ridare slancio a un’economia che annaspa. Qualcuno dovrà pur farsene carico.