Promesse elettorali: cifre impossibili
Lotta alla povertà, occupazione per i giovani, pensioni, rimodulazione della pressione fiscale. L'avvio della campagna elettorale vede sul piatto promesse per 130 miliardi di euro. Cui se ne aggiungono altri 140 se verrà abolita la legge Fornero. Dove si trovano le risorse? Il Presidente Mattarella ha chiesto realismo ai politici, ma le premesse appaiono diverse.
Sciolte le Camere, è partita la campagna elettorale che ci vedrà andare alle urne il 4 marzo e anche se la nuova legge elettorale, il “Rosatellum”, non prevede l'indicazione del candidato premier sulla scheda elettorale, a sfidarsi saranno i leader delle principali forze politiche.
Nel suo discorso di fine anno il presidente della Repubblica Mattarella ha sottolineato l’appuntamento con il voto, appuntamento da affrontare con partecipazione, fiducia e spirito costruttivo. Mattarella ha anche chiesto realismo ai candidati e ai partiti, ma se si prova a confrontare la situazione del paese con le promesse elettorali che già stanno circolando, fiducia e spirito costruttivo subiscono importanti disillusioni che possono minare anche la scelta della partecipazione. Tutti promettono quasi tutto.
Il Movimento 5 stelle promette il "reddito di cittadinanza": 780 euro al mese ai maggiorenni che abbiano lavorato negli ultimi due anni ma siano disoccupati. Una promessa che vale circa 15 miliardi l’anno.
Berlusconi assicura il “reddito di dignità”: mille euro al mese a chi non supera la soglia di povertà assoluta (circa 4 milioni e mezzo di italiani). Una promessa che vale 17 miliardi l’anno e che si aggiunge ai 18 miliardi necessari per portare la pensione minima a mille euro mensili, altro progetto berlusconiano. Renzi invece vuole aumentare i 2 miliardi l’anno per il “reddito di inclusione”, per ora destinato a 1,8 milioni di persone, ma il segretario del Pd offre anche un nuovo bonus da 80 euro per le famiglie con figli a carico e la spesa sarebbe di 5,7 miliardi.
C’è poi il fronte delle tasse, argomento che da sempre viene utilizzato per invogliare gli elettori: il Pd pensa di risistemare l’Irpef per un costo che oscilla tra i 12 e i 14 miliardi di euro e ci sono poi i 24 miliardi necessari per l’abolizione del Fiscal compact voluto dall’Europa, abolizione promessa da Pd e Lega, mentre la flat tax proposta da Forza Italia e Lega costerebbe tra i 30 e i 40 miliardi cui si dovrebbero aggiungere i 13 necessari per la cancellazione dell’Irap proposta sempre da Forza Italia perché «la flat tax si finanzia da sola». Contrari alla M5s e Pd, perché non rispetterebbe il principio costituzionale della progressività del fisco.
Il Sole 24 Ore ha quantificato in 130 miliardi di euro il costo delle promesse elettorali per il prossimo 4 marzo, un costo che verrebbe più che raddoppiato dall’abolizione della legge Fornero sulle pensioni promessa dalla Lega visto che il costo di una simile operazione sarebbe di 140 miliardi.
Ci sono poi le promesse al mondo del lavoro: imprese e lavoratori potranno contare su un altro milione di posti di lavoro. La proposta del Partito democratico punta «non solo la quantità ma anche la qualità» grazie a «un altro Jobs act»: con l’obiettivo di raggiungere i 24 milioni di occupati, per incentivare le assunzioni stabili il Pd prevede nuove decontribuzioni e attenzione a chi perde il lavoro a 50 anni. Forza Italia progetta invece «un totale sgravio fiscale per le aziende che assumono i giovani con contratto di apprendistato o di primo impiego per tre anni», mentre i 5 stelle propongono il ripristino dell’articolo 18 nelle aziende con più di 15 addetti e il rilancio dei centri per l’impiego.
Insomma, una campagna elettorale “ricca” di promesse che rischia di far girare la testa agli elettori anche perché non sembra semplice trovare le risorse per mantenerle.
La stessa legge di bilancio appena licenziata con una manovra da 45 miliardi, punta sull’occupazione per i giovani, sulle pensioni, sulla lotta alla povertà e Paolo Gentiloni, premier uscente, nella conferenza stampa di fine anno ha assicurato che resterà al suo posto fino all'arrivo del successore. E non è detto che non rimanga al suo posto anche dopo le elezioni se, come molti osservatori paventano, dalle urne non uscirà una maggioranza in grado di governare il Paese.