Pfas, «un attacco alla vita». Altera la fertilità della donna e provoca aborti
Studio-choc del gruppo di ricerca del prof. Foresta sulle ventenni residenti nell'area rossa ad alto inquinamento Pfas. I Pfas alterano la funzione dell'utero interagendo col progesterone e bloccano i meccanismi che regolano il ciclo mestruale, l'annidamento dell'embrione e il decorso della gravidanza. Inoltre alterano la regolarità del ciclo mestruale e ritardano la comparsa delle prime mestruazioni.
Le giovani venete che vivono nel cratere dell’inquinamento da Pfas, da ieri, sanno che per loro avere un bambino potrebbe rimanere un sogno.
È l’ultima, terribile verità emersa nell’ambito del caso di contaminazione più grave della storia per quanto riguarda gli acidi perfluoroalchilici che dal 2013 affligge 500 mila abitanti delle province di Vicenza, Verona e Padova.
A mettere nero su bianco i dati dell’interferenza dei Pfas nel sistema riproduttivo umano è stato il prof. Carlo Foresta, endocrinologo di fama internazionale, che ieri ha presentato all’università di Padova i risultati di uno studio condotto su 115 ventenni. E le conclusioni non lasciano scampo: «Il sistema riproduttivo umano viene fortemente compromesso a tutti i livelli dalla presenza di Pfas nell’ambiente».
Da tempo sono noti gli effetti patologici dei Pfas in gravidanza: una maggiore preeclamsia (gestosi), nati pre termine o sottopeso, malformazioni nervose e cardiache. Oggi l’equipe del prof. Foresta ha dimostrato scientificamente che cosa accade alle cellule quando sono intaccate dai veleni e così ha scoperto che la prima mestruazione nelle ragazze esposte arriva con oltre un anno di ritardo rispetto alle pari età di altre zone e che una su tre ha un ciclo mestruale alterato nella regolarità (mentre nelle aree non contaminate solo una su cinque).
«Quello che stiamo vivendo è un vero e proprio attacco alla vita», commenta scossa Laura Facciolo, mamma no Pfas di Montagnana, in piena zona rossa. «È un dolore terribile, la sensazione è quella di non aver saputo proteggere la parte più intima e più importante di noi stesse».
Laura ieri era a palazzo del Bo in rappresentanza di centinaia di donne che con i loro mariti da due anni lottano perché la contaminazione venga arginata. Tra loro, c’è chi non ce l’ha fatta a venire: «Mi fa troppo male sentire ciò che i miei figli vivono, tu sai che io ho figli ventenni – ci scrive su Whatsapp una mamma che chiede riservatezza – Lotto perché tutto questo non accada più al mondo, non mi fermerò e affronterò con l’aiuto di Dio ogni situazione che mi si presenterà».
Nella “terra dei fuochi” del Nordest i drammi personali si mescolano con le complicate sperimentazioni degli scienziati. Tutto dipende dal progesterone, spiega il prof. Foresta: «La sua interazione con i Pfas è fortissima, specie a livello genico». Il Pfoa, uno dei perfluori più diffusi, altera ben 275 geni, tra cui quelli fondamentali per la formazione dell’endometrio e l’attecchimento dell’embrione. «L’attività di queste sostanze è fortemente inibitiva sulla preparazione dell’endometrio e quindi della placenta. Da qui la difficoltà di concepimento e la poliabortività, i nati sottopeso e pre-termine. Ma attenzione, parliamo di giovani che hanno nel sangue concentrazioni plasmatiche dieci o venti volte più elevate rispetto agli studi precedenti».
E a questi dati, si sommano quelli resi noti quattro mesi fa dalla stessa equipe del prof. Foresta sui giovani maschi dell’area rossa: 23 per cento in meno di spermatozoi con una motilità ridotta e malformazioni di uno su cinque, a cui vanno aggiunte misure ridotte di pene e testicoli.
«Ecco perché siamo di fronte a un attacco alla vita – riprende Laura - Le ricerche del prof. Foresta ci rendono ancora più combattive: dov’era chi doveva vigilare perché tutto questo non accadesse? Qualcuno sapeva che queste sostanze si trovano nell’acqua e non ci ha permesso di proteggerci». Il pensiero corre a tutte le pappe preparate ai figli piccoli con l’acqua contaminata e alle lotte per fare in modo che nelle scuola materne venisse utilizzata solo acqua di bottiglia.
Recentemente il ministero dell’Ambiente e la Regione hanno calcolato i costi della contaminazione da addebitare alla Miteni di Trissino, l’azienda presunta colpevole della contaminazione, in caso di processo contro 13 manager su cui si sono chiuse le indagini. Si parla di circa 140 milioni di euro in totale: «Mi chiedo – continua la mamma che domani ritirerà i risultati delle analisi sulla figlia di dieci anni – qual è il prezzo di tanti bimbi non nati. Quanto vale il dramma familiare di chi non ha potuto avere figli e adesso piange di fronte a questi studi?».
Anna Maria Panarotto è una mamma di Lonigo, nel Vicentino, e non sa come parlare alle figlie ventenni di tutto questo. «I giovani d’oggi sono in lotta per il loro futuro, come possiamo dire loro che forse non avranno figli? Riprodursi fa parte della natura umana e delle attese di ogni famiglia, ma loro, solo per il fatto di essere nati qui rischiano di andare incontro a un calvario».
«La classe medica alzi la testa»
Le ricerche del prof. Foresta stanno dando evidenza scientifica ad alcune delle patologie correlate con la contaminazione dal Pfas in ambito riproduttivo, ma questo è solo uno degli aspetti della vicenda. Da qui l’appello: «La Regione Veneto ha fatto molto per rendere potabile l’acqua dell’acquedotto grazie ai filtri a carboni attivi – ha detto l’endocrinologo – Ora mi auguro che la classe medica alzi la testa e metta al centro il tema dell’espulsione di queste sostanze che impiegano anche dieci anni a dimezzarsi nell’organismo umano».
Torna alla ribalta quindi il blocco della plasmaferesi (la pulizia del sangue) messa in atto dalla Regione in via sperimentale e su base volontaria, ma bloccata a dicembre 2017 dall’allora ministro alla Salute Lorenzin. Un blocco avvenuto sulla base di «affermazioni apodittiche da parte dell’Istituto superiore di sanità», afferma Santo Davide Ferrara, presidente della Fondazione Scuola di Sanità pubblica a cui il governatore Zaia ha chiesto uno studio in merito. La pratica della plasmaferesi secondo i sanitari potrebbe riprendere, almeno per alcuni gruppi più sensibili, come giovani e donne in gravidanza.
In realtà, il blocco era avvenuto perché la sperimentazione non era stata sottoposta a nessun comitato etico, né era stato steso un protocollo che riportasse obiettivi verificabili.
«Purtroppo continuiamo a sentirci esposti – confessa la mamma no Pfas Anna Maria Panarotto – L’acqua è sicura, ma degli alimenti purtroppo non sappiamo nulla». Le analisi sugli alimenti condotti dalla struttura regionale con l’Iss si sono infatti dimostrate errate dopo la nota di fine 2018 con cui l’autorità per la sicurezza alimentare dell’Unione europea (Efsa) abbassava di molto i livelli di tolleranza. Così sui social media ci sono genitori che hanno dato vita a raccolte fondi per compiere analisi in proprio sui prodotti del proprio orto: «Quello che manca è la geolocalizzazione: non sappiamo dove si trovano i prodotti più inquinati, così dobbiamo evitare tutto il km zero, ma non è sempre possibile conoscere la provenienza con precisione».
Nel frattempo manca ancora un piano per la bonifica totale del sito Miteni, sotto il quale sospetta Arpav, sono sepolti rifiuti industriali che continuano a rilasciare inquinanti. Com’è noto l’azienda ha portato i registri in tribunale a novembre e ora a farsene carico devono essere gli enti pubblici. La conferenza dei servizi di due giorni fa si è conclusa con l’appello alla Regione di incaricare gli esperti di redigere uno studio per comprendere i costi dell’operazione.