Natale a Lesbo. La collina degli ulivi e la nuova tendopoli
Continua il racconto di Ernesto Milanesi, a Lesbo nei giorni di Natale per uno speciale reportage per la Difesa del Popolo. Foto di Massimo Sormonta.
Intorno al campo profughi di Moria l’orizzonte degli ulivi appare a perdita d’occhio, fino a dove il cielo grigio lascia intravvedere il Mar Egeo.
Da una settimana, si è materializzata la nuova tendopoli “fai-da-te”. Siriani, afgani, curdi, africani – sbarcati a centinaia non solo nel nord dell’isola di Lesbo – hanno occupato la collina degli ulivi oltre il rigagnolo che scorre sotto il reticolato del “campo storico”.
E’ il giardino del Getsemani dell’Europa in cui tutti noi tradiamo le solenni dichiarazioni sui diritti umani fondamentali, scoccando il bacio di Giuda a 20 mila poveri Cristi. Sono soprattutto singoli o famiglie fuggiti dalla furia dei talebani, dalle bombe di Daesh, dalla pulizia etnica di Erdogan e dalla fame nel Continente Nero.
Un ragazzino dai capelli rossi è l’interprete in inglese di tante voci: «Lui viene da Baghdad e anche qui tiene sotto la maglietta l’immagine votiva per paura che lo riconoscano. Quell’altro vive in tenda con altri tre, senza sapere se e quando “l’intervista” si tradurrà nel permesso di proseguire il loro viaggio. Lì sopra sono afgani: devono ancora sistemare i bancali di legno che diventano il pavimento della tenda di famiglia».
Nella notte ha piovuto: la sopravvivenza dei migranti a Moria è infangata da altre mille difficoltà. E le raffiche di vento sono implacabili, non solo per la biancheria stesa ad asciugare. L’inizio dell’inverno sarà il secondo per lo chef curdo che “abita” in uno dei container, mentre la moglie e le due figlie sono finite a Kos. C’è chi aspetta inutilmente la visita dell’unico medico, altri trasportano tronchi e foglie, le donne camminano sempre almeno in coppia, i ragazzini giocano davanti ad una pozza.
La lunga fila di umanità nella grande gabbia della distribuzione del pranzo è affidata alla polizia greca. Ma a Moria si vedono anche le mimetiche dell’esercito, mentre le pettorine delle “ong istituzionali” sembrano anticipare un progressivo giro di vite nel campo. La grande vergogna d’Europa non ha certo bisogno di riflettori. E il governo di Atene moltiplica proclami che preoccupano chi teme l’azzeramento dei diritti umani.
Sintomatico l’arresto di Salam Aldeen, che ha in tasca un passaporto della Danimarca. Accusato di rappresentare “un pericolo per la pubblica sicurezza”, dal 10 dicembre resta in carcere con la prospettiva dell’espulsione. In realtà, da quattro anni era attivo come operatore umanitario di Team Humanity a Lesbo. «Finire in prigione perché soccorritore in un paese europeo è una delle cose più folli che si possa immaginare…» dichiara Helle Blak, presidente di Team Humanity che a poca distanza dal campo di Moria fa funzionare un preziosissimo spazio per donne e bambini.
E proprio in questi giorni la pentola a pressione è già esplosa. Nell’isola di Samos, con la rivolta degli africani nella struttura da 650 posti che ormai ne contiene 7-8000. Scontri e lacrimogeni, incendi provocati e lancio di pietre. Le autorità locali hanno perfino dovuto chiudere le scuole.
Unhcr, l’agenzia Onu per i rifugiati, certifica che nelle isole greche i migranti sono oltre 40 mila di cui quasi la metà provenienti dall’Afghanistan sulla rotta Pakistan e Iran verso la Turchia. Soltanto nella settimana fra il 9 e il 15 dicembre ha registrato oltre 2.000 persone sbarcate dai gommoni: ben un migliaio lungo le coste di Lesbo.
Così la catastrofe umanitaria - fuori e dentro il campo originale di Moria (6,5 milioni di euro cofinanziati dalla Ue come ricorda il cartello all’ingresso) - è destinata a non esaurirsi. Se finalmente qualcuno dei profughi riceve il pass verso la terraferma greca, viene rimpiazzato da almeno un paio di migranti che hanno appena attraversato il braccio di mare con la Turchia. Per di più ora bisogna “alleggerire” Samos, senza smettere di isolare il flusso lontano dal Pireo e dal Peloponneso.
Intanto, nel debutto dell’inverno a Lesbo sono in 20 mila ad incarnare il crocifisso con il giubbotto arancione esposto da papa Francesco…