“Mondo di Mezzo”, tutto il fango gettato che ancora resta
Ad oltre tre anni dall'inizio dell'inchiesta romana, il mondo della cooperazione sociale fatica ancora a riprendersi. Ferite tuttora aperte e conseguenze visibili sui servizi alle persone fragili. L'opinione di Francesca Danese
Dice la Cassazione che Mafia Capitale non esiste, e probabilmente ha ragione. Esistono le mafie ed esiste la corruzione. La Cassazione riconosce la presenza di due associazioni distinte a carattere delinquenziale, ma non il loro carattere mafioso. Ma la Suprema Corte non toglie un briciolo di gravità all'inchiesta Mondo di mezzo e, infatti, sono molti gli osservatori a prevedere che le pene per i condannati saranno comunque altissime, forse maggiori di quelle comminate nella sentenza smontata dagli “ermellini”.
Le ferite ancora aperte al corpo della città
Le sentenze si rispettano, così si dice sempre, e il modo migliore di farlo è quello di ragionare insieme sulle conseguenze, anzi sulle ferite ancora aperte, nel corpo vivo di questa città, venute alla luce nel processo contro questa associazione non mafiosa ma comunque a delinquere. Conseguenze gravissime sulla condizione di vita dei settori più poveri già provati dal taglio dei trasferimenti ai Comuni e sul senso comune di larghi pezzi di cittadinanza.
HANNO LUCRATO SULLA PELLE DEI PIÙ BISOGNOSI
La prima lacerazione è quella compiuta dai Buzzi e i Carminati lucrando sulla pelle delle persone più bisognose, native o migranti, di cui avrebbero dovuto avere cura nello svolgimento dei servizi sociali di cui si erano accaparrati l’appalto.
HANNO SQUALIFICATO IL LAVORO DI CHI PROVA AD AIUTARE GLI ALTRI
La seconda conseguenza è il fango gettato, sia dai comportamenti criminali sia da una narrazione superficiale, su tutta la cooperazione sociale, quel mondo che tiene insieme famiglie, operatori, comunità, quel mondo che prova a ricucire ciò che la crisi ha logorato: il tessuto sociale, il senso della cittadinanza. E permette di dare lavoro anche a chi fa più fatica a trovarlo, come le persone portatrici con svantaggi fisici o psichici, le ragazze madri, ex detenuti, ex tossicodipendenti, ecc...
"Quando tutte le candele si saranno spente, tutti i gatti saranno grigi", ebbe a dire Benjamin Franklin. Da allora, le cooperative di tipo B vivono in una notte in cui “tutti i gatti sono grigi” da cui hanno diritto di emergere, di tornare alla luce delle regole condivise per svolgere il ruolo per il quale sono nate, quello di costruire benessere e coesione sociale oltre che servizi spesso innovativi. Non si può declamare la parola legalità se ad oltre tre anni dall'inchiesta ancora vediamo gare a ribasso d'asta o addirittura gare andate a vuoto su servizi dedicati alle persone, mentre si potrebbe attivare la co-progettazione e la co-programmazione come sancito dal nuovo codice del terzo settore. Certamente ciò significherebbe applicare e declinare il concetto di vera partecipazione democratica nella costruzione di welfare di comunità. Intanto molte risorse tornano indietro, mentre i volontari che andavano ad aprire ville e giardini ancora aspettano il rimborso spese.
HANNO DETERIORATO IL SENSO COMUNE DANDO FIATO ALL'ANTIPOLITICA
La terza colpa gravissima dei Buzzi e dei Carminati e di chi è colluso con loro, un crimine che non troverete citato nelle motivazioni delle sentenze ma che non è meno ferale, è di avere contribuito al deterioramento del senso comune spianando la strada all'antipolitica che in breve sarebbe riuscita a esprimere l’attuale classe dirigente del Campidoglio. Una Giunta di cui sperimentiamo tutti, ogni giorno, l’inadeguatezza a ricucire le ferite di (ex) Mafia Capitale. Amministratori il cui unico faro sembra essere l’ossessione di liquidare i corpi intermedi, dalla cooperazione, al sindacato all'associazionismo, e che non si rendono conto di avere trasformato concetti come l’onestà e la legalità in vocaboli astratti, senza relazione con la complessità di una metropoli dove l’area del disagio sociale si dilata e ha bisogno sia di risposte urgenti sia di pensiero lungo. Una metropoli in cui chi amministra la città ha il dovere di stimolare la partecipazione dei cittadini e di formare i propri funzionari per intessere con loro un rapporto basato sulla fiducia e orientato alla risoluzione dei problemi. La corruzione è figlia dell’opacità della politica e madre dell'antipolitica. Un circolo vizioso da cui abbiamo diritto a uscire.
Francesca Danese
portavoce del Forum del Terzo Settore del Lazio,
già assessora al sociale e alla casa della Giunta Marino