Migranti, “in Italia accoglienza senza prospettiva”. E si privilegia quella d'urgenza

Focus di OpenPolis. Originariamente la legge aveva previsto di affiancare al sistema ordinario (Sistema di accoglienza e integrazione – Sai) i centri di accoglienza straordinaria (Cas) attivabili dalle prefetture, anche d’urgenza. Logica vorrebbe quindi che il Sai copra gran parte delle necessità. Negli anni però questa impostazione è stata smentita. Così, a fine 2022, il sistema di accoglienza ordinario copriva solo il 35,7% dei posti

Migranti, “in Italia accoglienza senza prospettiva”. E si privilegia quella d'urgenza

“Il governo Meloni non ha superato l’approccio emergenziale alla questione migratoria, già avviato dai governi precedenti. Anzi, l’attuale esecutivo l’ha addirittura inquadrato in una cornice normativa, prima decretando e poi prorogando lo stato di emergenza immigrazione”. Ad affermarlo è OpenPolis, secondo cui “una conferma di questo è la questione dei centri di accoglienza in Albania. Un tema tornato alla ribalta dei media anche in queste ore, a causa dell’affidamento della gestione dei centri albanesi a Medihospes, colosso dell’accoglienza di cui ci siamo occupati in due dossier di Centri d’Italia, nel 2020 e lo scorso anno”.

Con un focus dal titolo “L’accoglienza in Italia in assenza di una prospettiva”, OpenPolis evidenzia che “la narrazione del fenomeno migratorio, così come la sua gestione, appare sempre più improntata a una logica emergenziale, nonostante i numeri dicano che non si tratta affatto di una ‘invasione’”.

E qui si torna ai numeri dell’accoglienza. Nel 2023 infatti le presenze nel sistema di accoglienza hanno raggiunto un picco di 141 mila persone (erano 121.325 i posti nel sistema di accoglienza a fine 2022). “Rispetto all’anno precedente è stato quindi necessario reperire tra i 20 e i 30 mila posti, così come già avvenuto tra 2021 e 2022 – ricorda OpenPolis. - La variazione di posti nel sistema di accoglienza è un tema serio, che tuttavia non costituisce un’eccezione. Ogni anno infatti, a seconda dei flussi, il numero complessivo di persone ospitate varia. Proprio per questo originariamente la legge aveva previsto di affiancare al sistema ordinario (oggi noto come sistema di accoglienza e integrazione – Sai) i centri di accoglienza straordinaria (Cas) attivabili dalle prefetture, anche con procedure d’urgenza. La logica vorrebbe quindi che il Sai copra gran parte delle necessità lasciando a un sistema più elastico, quello dei Cas, il compito di gestire le variazioni più repentine”.

Negli anni però questa impostazione formale è stata continuamente smentita dai fatti. Secondo il focus, infatti, a fine 2022 infatti il sistema di accoglienza ordinario copriva appena il 35,7% dei posti (sempre nel 2022 il 63,3% dei posti in accoglienza erano gestiti tramite centri governativi: Cas e prima accoglienza).

In Italia, dunque, resta minoritaria l’accoglienza ordinaria. “Come se non bastasse, invece che investire sul Sai, il governo Meloni è andato in direzione diametralmente opposta, istituendo centri ancora più straordinari dei Cas. Di questi ‘centri temporanei’, si sa ancora troppo poco. In attesa di ricevere i dati sul 2023 e valutare il loro impatto effettivo, possiamo comunque considerare anche questa come una politica improntata all’emergenza, invece che a un’ordinata gestione del fenomeno”, afferma OpenPolis. Che evidenzia come varia l’accoglienza in Italia: “D’altronde per strutturare un modello ben organizzato occorrerebbe conoscere innanzitutto lo stato attuale del sistema considerando le sue specificità da diversi punti di vista, incluse quelle territoriali. Le informazioni necessarie, però, non vengono rese disponibili dalla pubblica amministrazione. Per alimentare Centri d’Italia, la piattafoma che raccoglie i dati del sistema di accoglienza (a livello di singolo centro, comune per comune) sono infatti necessarie continue domande di accesso agli atti, con annesse richieste di riesame ed eventuali ricorsi in tribunale. Ma l’assenza di informazioni non riguarda solo i comuni cittadini. Gli stessi parlamentari infatti sono ancora in attesa che venga pubblicata la relazione annuale sullo stato del sistema di accoglienza nel 2022. Un documento che, stando alla legge, sarebbe dovuto essere disponibile entro il mese di giugno dell’anno scorso”.

Dall’analisi di OpenPolis, comunque, emerge un quadro differenziato tra città e aree interne, così come tra le diverse province. Da un punto di vista nazionale, ad esempio, le persone in accoglienza rappresentano circa lo 0,18% della popolazione residente in Italia. “Un dato distante dalla cosiddetta ‘invasione’ di cui si sente parlare, che comunque varia a seconda dei territori. Così se le regioni del Mezzogiorno e del nord-ovest si pongono al di sotto della media (0,17%), il centro si trova in linea con il dato nazionale, mentre nel nord-est la quota di persone accolte rispetto ai residenti è più alta (0,21%)”.

A un primo sguardo, questo dato porta a considerare le regioni del nord-est come le più accoglienti. “Tuttavia, bisogna anche rilevare che questo non avviene per una scelta politica degli enti locali – si evidenzia -. Guardando al tipo di accoglienza offerta in effetti emerge un quadro abbastanza diverso. Nelle regioni del nord-est infatti l’accoglienza è quasi esclusivamente di natura governativa (Cas e prima accoglienza), mentre il Sai copre appena il 21% dei posti. Un dato che diventa ancora più elevato se si guarda al Friuli Venezia Giulia, dove i centri governativi coprono il 92,9% dell’accoglienza, e in particolare la provincia di Gorizia dove non risulta alcun posto nel circuito Sai”.

L’accoglienza nei comuni

Preso atto che il sistema straordinario continua a rappresentare il fulcro dell’accoglienza, si possono comunque fare delle distinzioni per verificare come questo modello venga gestito nei diversi territori. Si può ad esempio verificare se i Cas istituiti forniscano un servizio in modalità in rete (piccole strutture con servizi diffusi sul territorio), oppure se si tratta di centri collettivi di piccole, medie o grandi dimensioni.

Afferma OpenPolis: “L’accoglienza in grandi centri, infatti, genera molto spesso problemi, sia per gli ospiti che per la il territorio in cui si trova la struttura. L’accoglienza diffusa rappresenta invece un modello generalmente più virtuoso che tuttavia non viene incentivata. Un’altra dinamica che può essere analizzata è poi rappresentata dalla quota di comuni coinvolti in ciascuna provincia. L’idea di base è che se un territorio riesce a distribuire i centri in tutti i suoi comuni, o quasi, l’accoglienza avrà un impatto inferiore sulla comunità ospitante, rendendo più facile l’integrazione degli ospiti ed evitando la formazione di ‘ghetti’. Anche da questo punto di vista emergono differenze molto consistenti tra le diverse province”.

In Toscana ed Emilia Romagna l’accoglienza è più distribuita tra i vari comuni. Quanto alle province, sono soltanto 29 quelle in cui l’accoglienza è distribuita almeno nella metà dei comuni. In 6 province in particolare il dato supera l’80%. Al primo posto troviamo Prato dove tutti i comuni ospitano almeno una struttura. Questa provincia però è composta di soli 7 comuni, il dato dunque risulta meno significativo rispetto a casi come Firenze, dove i comuni coinvolti sono 38 su 41 (92,7%), o Reggio Emilia, con 38 comuni su 42 (90,5%). A seguire Ragusa con l’83,3% (10 comuni su 12), Pistoia e Brindisi entrambi con l’80% (16 comuni su 20). Non stupisce dunque che anche a livello regionale sia l’Emilia Romagna ad avere un sistema di accoglienza più distribuito (60,6% dei comuni coinvolti), seguita dalla Toscana (60,1%) e dalla Puglia (49%). In fondo alla classifica invece l’Abruzzo (16,1%), la Valle d’Aosta (9,5%) e la Sardegna (8,5%).

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)